Cronismo sportivo, viaggio romantico tra bei ricordi e buon mestiere

Nello sport l’emozione è indissolubilmente legata alla narrazione degli eventi e per questo il cronista ha la capacità di trasmettere passione, esaltare le gesta e consegnarle alla storia. Dai «quasi rete» e «traversone» di Carosio» a «Campioni del mondo, campioni del mondo, campioni del mondo» di Nando Martellini in Spagna ’82’, il legame tra sport e cronaca è oramai assodato, inseparabile, ma soprattutto romantico.

Per alcuni è una guida nell’interpretazione tecnica e tattica, per altri semplicemente una piacevole compagnia, tra discorsi a volte frivoli e banali e un po’ di pettegolezzo. Epoch Times ha intervistato Luciano Barra – ex segretario della Federazione italiana di Atletica leggera e membro onorario a vita della Federazione europea – per conoscere le caratteristiche del buon cronismo e ricordare alcuni grandi professionisti del passato.

Signor Barra, quali caratteristiche deve avere secondo lei un buon telecronista?

Deve conoscere lo sport, non solo quello in cui fa la telecronaca; deve anche divertire e saper trasmettere l’ambiente in cui si svolge l’avvenimento.

E per quanto riguarda un radiocronista?

Non avendo il supporto delle immagini, deve più che mai trasmettere all’ascoltatore l’ambiente e le emozioni dell’avvenimento.

Negli ultimi anni cos’è cambiato nel modo di fare telecronaca e radiocronaca?

Troppi tecnicismi, poca emozione e poco calore umano.

Poche settimane fa ha stilato una graduatoria personale su Sportolimpico, che celebrava i giornalisti del passato che non possono essere dimenticati. In ordine cronologico il primo che ha citato è Guglielmo Moretti. Cosa può dire di interessante su questo giornalista e radiocronista?

A parte la voce e la cultura sportiva, ha inventato un concetto di trasmissione sportiva (Tutto il calcio minuto per minuto) innovativa per quei tempi ed ancora attuale, anche per la televisione.

Parliamo di alcuni grandi professionisti del passato. Cominciamo con Carosio e Zavoli. Che ricordo ha delle loro cronache?

Da accapponare la pelle. Meriterebbe che ogni tanto la Rai rimandasse in onda alcune delle loro cronache. Carosio ha inventato un professione, Zavoli l’ha sublimata.

Ci sono altri cronisti che secondo lei è doveroso ricordare?

Alberto Giubilo e Giorgio Bellani, Mario Ferretti e Rino Icardi, Adriano Dezan e Paolo Rosi, e tanti altri.

Ha conosciuto personalmente qualcuno di questi professionisti? Ha qualcosa di interessante da raccontare?

Su tutti Paolo Rosi. Ero accanto a lui in due occasioni, quando per colpa di una tazzina di caffè che si era rovesciata sulla sua giacca bianca, cacciò una bestemmia; si beccò qualche mese di sospensione. E poi a Praga ai Campionati Europei del 1978, in un estate a quaranta gradi, dove sempre seduto a fianco gli fornivo sorsate di whisky; quando Venanzio Ortis vinse i cinquemila metri con un incredibile sprint, Paolo salì in piedi sul tavolo della postazione commentando quella vittoria.

Come giudica la telecronaca in due, ossia il commento sportivo e quello tecnico?

È un’evoluzione assolutamente necessaria, purché non sconfini, come avviene nel calcio, in un tecnicismo incomprensibile con i 4 – 2 + 3 + 2 – 1. Come diceva Mourinho “chi sa solo di calcio, non sa nulla di calcio”. La maggioranza dei cronisti/telecronisti di calcio non solo non sanno nulla di calcio ma non sanno nulla di sport.

I telecronisti certamente non devono annoiare. Come devono operare secondo lei per lavorare in un contesto di intrattenimento sportivo?

Non si devono ‘parlare addosso’ e sovrapporsi, e devono essere compatibili nel tono di voce.

Secondo lei, un cronista ha il potere di promuovere una disciplina sportiva, celebrare campioni e motivare quelli del futuro?

Certo, purché non lo faccia per soddisfare obbiettivi commerciali o politico-sportivi, allora non è credibile.

 
Articoli correlati