Turchia, a rischio lo Stato di diritto e la democrazia

La Turchia, a lungo ammirata a livello internazionale in quanto grande democrazia musulmana dalla vivace economia, ha ottenuto la piena indipendenza nel 1923 sotto il suo fondatore Mustafa Kemal Ataturk – a dispetto delle imponenti forze avverse – fino a diventare un importante membro della Nato. Lo Stato di diritto, l’alfabetizzazione pressoché estesa a tutti e il governo laico sono diventate sue pietre fondanti.

Nei primi anni, governando secondo la tradizione di Ataturk, Recep Tayyip Erdogan e il suo Partito giustizia e sviluppo (Ak) hanno impressionato molte persone, sia in patria che all’estero. Erdogan è stato eletto sindaco di Istanbul (1994-1998), poi primo ministro (2003-2014), e infine presidente nel 2014. I suoi successi includono la graduale cessazione del trentennale conflitto con la minoranza curda di 15 milioni di turchi (costato almeno 40 mila vite) e l’aver accettato 700 mila rifugiati provenienti dalla Siria di Assad.

Purtroppo, negli ultimi anni, Erdogan ha minato le istituzioni democratiche turche e i diritti fondamentali dei suoi cittadini. Alla fine del 2013, per esempio, quando uno scandalo di corruzione ha coinvolto lui e il suo gabinetto, nessuno è stato accusato; numerosi giudici, pubblici ministeri e poliziotti sono stati riassegnati ad altri casi, in chiaro contrasto con il principio democratico secondo cui nessuno è al di sopra della legge. A partire dal marzo dello scorso anno, 22 giornalisti sono stati incarcerati e oltre 60 sono stati ritenuti colpevoli di averlo diffamato. Alcuni media importanti, sia online che cartacei, sono stati messi sotto sequestro dal suo governo, in modo simile a quello che ha fatto il presidente Putin in Russia.

Durante le elezioni nazionali di giugno 2015, il cui dibattito si è incentrato sulla corruzione, il Partito democratico popolare curdo (Hdp) ha ottenuto il 12 per cento dei voti turchi, facendo perdere all’Ak la maggioranza parlamentare. I partiti d’opposizione hanno tentato di formare un governo di coalizione senza riuscirci, consentendo a Erdogan di chiamare un’altra elezione. Il 1 novembre 2015 Erdogan ha quindi vinto, ma ha mancato di poco la maggioranza, rimanendo privo di seggi sufficienti per cambiare la Costituzione e stabilire una presidenza ancora più forte, scevra da efficaci contrappesi.

Nel vicino Iraq, i 16 mesi di guerra all’Isis, secondo un rapporto delle Nazioni Unite, hanno causato 15 mila vittime civili e 30 mila feriti. Sono oltre 2,8 milioni gli sfollati iracheni, 1,3 milioni dei quali sono bambini. Il 17 marzo di quest’anno, il segretario di Stato degli Usa John Kerry ha riconosciuto ufficialmente che i cristiani così come gli yezidi e i musulmani sciiti sono attualmente vittime di genocidio per mano dell’Isis.

E il governo di Erdogan sembra aver fornito assistenza all’Isis in vari modi, offrendo una base logistica, economica e politica in Turchia. Si stima che circa 25 mila combattenti stranieri si siano uniti all’Isis in Iraq e in Siria attraverso la Turchia. Durante il 2015, l’Isis si è arricchita di cifre che vanno da uno a quattro milioni di euro al giorno, perché molto del petrolio che ha ottenuto è stato contrabbandato attraverso la Turchia. Il Guardian ha riferito che i computer dell’Isis sequestrati da un commando statunitense in Siria contengono prove inconfutabili di collusione con il governo Erdogan.

Supportando l’Isis per soppiantare al-Qaeda come gruppo jihadista sunnita in Siria, Erdogan ha fatto crescere il conflitto dell’Isis fino a trasformarlo in una guerra regionale tra sunniti e sciiti. Quando Erdogan ha finalmente accettato in linea di principio di combattere il gruppo terroristico (o di fingere di farlo), una Nato riluttante ha assecondato i suoi desideri, accettando di non dare sostegno ai curdi, un sostegno parecchio necessario al gruppo, che ha combattuto efficacemente contro l’Isis fin dall’inizio della guerra [Erdogan invece si considera nemico dei curdi ndr]

«Se Erdogan si fosse ritirato dalla politica nel 2011 con tutte le realizzazioni del partito, sarebbe certamente passato alla storia come il più grande primo ministro nella storia della Turchia democratica – ha scritto sul suo blog il 20 luglio Graham Fuller, autore di numerosi libri sul mondo musulmano ed ex ufficiale della Cia – Erdogan è ora in procinto di distruggere praticamente tutto quello che il suo partito ha creato nel primo decennio di governo. Le sue purghe e la cappa di paura e di incertezza stanno distruggendo la stessa Turchia».

I dettagli completi del tentato colpo di Stato potrebbero non essere mai completamente rivelati. L’idea diffusa è che sia stato un gruppo di soldati turchi di medio rango a tentare il colpo di Stato del 15 luglio, prendendo il controllo del parlamento di Ankara e dei ponti di Istanbul, di aeroporti e alcune stazioni di polizia. Il pubblico e la polizia hanno però sopraffatto rapidamente il tentativo di rovesciare la democrazia turca.

Nei giorni successivi, 3 mila soldati e 2.800 giudici sono stati arrestati. Il governo ha annunciato che avrebbe chiuso 600 scuole private, dopo aver licenziato più di 20 mila insegnanti del settore pubblico, e si propone ora di revocare la licenze a 21 mila insegnanti delle scuole private. Sono stati arrestati anche altri 9 mila militari, tra cui più di 100 generali. Più di 70 mila persone sono state segnalate e arrestate. Ai detenuti è stato rifiutato il cibo, in prigione si verificano stupri, i carcerati vengono tenuti legati e viene negato loro di ricevere visite da avvocati e familiari.

A Washington, il segretario Kerry e il ministro degli Esteri canadese Stephane Dion, in una conferenza stampa congiunta hanno affrontato le accuse di Erdogan secondo cui il 74enne Fethullah Gulen – in esilio volontario dalla Turchia in Pennsylvania dal 1999 – avrebbe orchestrato il tentativo di golpe. Kerry e Dion hanno chiesto prove concrete, invece delle accuse. Gulen, da parte sua, è a favore di un’inchiesta internazionale per esaminare le cause del tentato colpo di Stato.

Tragicamente per la Turchia e per il mondo, aumentano gli indizi che Erdogan stia usando il tentativo di colpo di Stato per sospendere la democrazia, difesa dai turchi con la loro vita, in favore di una tirannia non molto diversa dal modello della Russia di Putin. Come ha recentemente indicato Amnesty International, le scelte che la Turchia farà nelle prossime settimane affermeranno lo Stato di diritto e i diritti umani, o un ritorno ai giorni bui della repressione di massa, delle torture e delle detenzioni arbitrarie.

David Kilgour, ex parlamentare canadese e uomo di legge di professione, è un ex magistrato federale e ha prestato servizio alla Camera dei Comuni del Canada per quasi 27 anni. È stato Segretario di Stato per Africa e America Latina e Asia-Pacifico e membro del gabinetto di Jean Chretien. 
È autore di diversi libri e co-autore con David Matas di ‘Bloody Harvest: rapporto sulle affermazioni di espianti di organi a praticanti del Falun Gong in Cina’.

Le opinioni espresse in quest’articolo sono le opinioni dell’autore e non riflettono necessariamente il punto di vista di Epoch Times. 

Articolo in inglese: Turkey’s New Crisis Puts Rule of Law in Question

 
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