Le conseguenze della svalutazione dello yuan

La settimana scorsa la Banca centrale cinese ha temporaneamente permesso una grossa fluttuazione della sua valuta, stabilizzando lo yuan dopo il crollo della scorsa settimana.

Questa decisione di Pechino ha scosso i mercati finanziari, in particolare quelli dell’Asia meridionale e orientale. A causa dell’incertezza della Cina nella gestione della sua economia e una conseguente prospettiva pessimistica sulle materie prime, sono crollati anche i mercati europei e americani.

Secondo alcuni economisti una continua svalutazione dello yuan potrebbe essere imminente. Analizziamo l’impatto che uno yuan debole può avere sulle Borse nel mondo.

I PREZZI DELLE MATERIE PRIME CONTINUERANNO A CROLLARE

I prezzi delle materie prime a livello globale, già barcollanti a causa del rallentamento dell’economia cinese, probabilmente diminuiranno ulteriormente a causa della svalutazione dello yuan.

Negli ultimi dodici mesi, il Dow Jones-Aig Commodity Index, che segue la valutazione di un paniere di materie prime che include l’oro, il petrolio greggio e il gas naturale, è diminuito del 28 per cento. Dal 10 agosto, l’indice è sceso del 2,4 per cento.

La Cina è il primo importatore di ferro, rame e petrolio greggio. Uno yuan debole provoca l’aumento del costo di queste importazioni, costringendo le società manifatturiere e le imprese di costruzioni cinesi a tagliare le spese.

Un altro fattore che esercita pressione sul ribasso dei prezzi delle materie prime è il dollaro americano. Dal momento che il dollaro è la più grande valuta di riserva del mondo e, molto probabilmente quella che ha un impatto maggiore sullo yuan, ogni ulteriore svalutazione dello yuan consentirà al suo valore di aumentare ulteriormente. Considerando che la maggior parte delle materie prime come l’oro e il petrolio sono prezzate in dollari, un dollaro forte trascinerà ulteriormente verso il basso i loro prezzi.

E questa potrebbe essere una cattiva notizia per quelle economie dipendenti dalle materie prime come l’Australia, il Brasile, la Russia e il Medio Oriente.

COMPLICAZIONI PER LA DECISIONE DELLA FED

Per tutta l’estate Wall Street aveva previsto che, per la prima volta in quasi un decennio, la Federal Reserve alzasse i tassi di interesse nel mese successivo. Il mese scorso, il presidente della Fed Janet Yellen ha gettato le basi per un aumento dei tassi, sostenendo che le condizioni fossero mature – citando il rafforzamento dell’economia statunitense, la forte spesa dei consumatori e i livelli occupazionali stabili.

La scorsa settimana Pechino ha messo un bastone tra le ruote in questo piano.

La Cina è uno dei più grandi partner commerciali degli Stati Uniti. Uno yuan debole provoca il deprezzamento delle importazioni cinesi e la sopravvalutazione delle esportazioni statunitensi, e suscita nuovi timori per la deflazione e l’aumento delle preoccupazioni per i ricavi delle società multinazionali statunitensi.

Tra il 10 e il 12 agosto, il rendimento dei titoli del tesoro statunitensi a dieci anni è sceso di dieci punti base, prima di rimbalzare da venerdì scorso al 2,2 per cento. Questo lascia intendere che gli operatori del mercato si aspettano che lo yuan si riveli un fattore nel processo decisionale della Fed.

Alla fine, la moneta cinese potrebbe non cambiare la convinzione della Fed, se questa dovesse ritenere che i fondamentali economici degli Stati Uniti siano abbastanza forti da giustificare un rialzo dei tassi. Sebbene gli analisti della J.P. Morgan ritengano possibile che un movimento dei tassi si possa verificare per settembre, il capo economista della Goldman Sachs Jan Hatzius, ritiene che ci siano «ragioni più fondamentali per cui la Fed potrebbe voler aspettare dopo settembre» per un loro rialzo.

VENDITA AL DETTAGLIO E SETTORE DEL LUSSO

Le multinazionali straniere, che dipendono dalle vendite in Cina, assisteranno probabilmente a un calo delle vendite.

Saranno diversi i fattori che contribuiranno a questo effetto. In primo luogo le merci straniere diventeranno più costose per i consumatori cinesi, generando pressione sul volume delle vendite. In secondo luogo, per quelle società che riportano i loro guadagni in dollari, le eventuali entrate generate in Cina avranno un valore inferiore a causa della conversione nella valuta estera.

Uno yuan debole danneggerà particolarmente i produttori di beni di lusso. I marchi stranieri del lusso, che sono stati già spremuti dalla campagna anti-corruzione e anti-illeciti di Xi Jinping, potrebbero incontrare ulteriori pressioni sulle vendite in Cina, così come su quelle ai turisti cinesi all’estero.

La scorsa settimana, gli investitori hanno svenduto le azioni dei produttori di beni di lusso. Nella settimana passata, le azioni della Louis Vuitton Moet Hennessy (Lvmh) sono scese dell’8 per cento alla borsa Euronext, quelle della Bmw Ag sono diminuite del 6,4 per cento a Francoforte e quelle della Richemont Sa hanno perso il 7,4 per cento a Zurigo.

Tuttavia, quelle società estere che affidano la produzione delle loro merci ad aziende cinesi potrebbero riscontrare un effetto opposto, dal momento che i prodotti finiti di fabbricazione cinese, che sono fatturati in yuan, diventeranno meno costosi.

«I rivenditori al dettaglio in generale e l’industria dei giocattoli saranno i chiari vincitori», ha detto la scorsa settimana la Fitch Ratings in una nota di ricerca.

CHE DIRE DELL’ASIA?

Uno yuan debole avrà un impatto negativo soprattutto sui quei Paesi che hanno un profilo di esportazione simile alla Cina e anche su chi esporta i propri prodotti ai consumatori cinesi.

«In Asia, i Paesi che si profilano su criteri di esportazione simili alla Cina, sono la Corea, Taiwan e la Malesia e, in misura minore, anche la Thailandia», ha detto al canale televisivo Cnbc India Ray Farris, ceo e responsabile del team di Strategia dei mercati globali emergenti per conto della Credit Suisse. «Quindi, questi sono i Paesi in cui, se lo yuan cinese dovesse continuare a deprezzarsi, le pressioni della competitività e l’aumento dei costi nel mercato cinese, infliggeranno i maggiori danni».

Alcuni analisti si aspettano che altre economie asiatiche svalutino le loro rispettive valute per mantenere la competitività con la Cina, sollevando così i fantasmi di una guerra valutaria asiatica. La scorsa settimana, il won coreano, il ringgit malese e la rupia indonesiana, hanno tutte perso valore rispetto al dollaro.

La realtà non è così semplice. Prendiamo per esempio il Giappone, dove l’impatto di uno yuan svalutato genera sia opportunità che minacce.

Si potrebbe sostenere che le piccole imprese e i negozi al dettaglio giapponesi potrebbero, all’apparenza, risentire di un minor numero di visite di turisti cinesi. Tuttavia, considerata la forte classe media cinese e la stretta vicinanza del Giappone alla Cina, un yuan più debole potrebbe far aumentare l’afflusso di turisti verso il Giappone, poiché i consumatori cinesi rinuncerebbero ai più ambiziosi, e costosi, viaggi in Europa o Nord America.

Il rallentamento economico generale della Cina danneggia i produttori e le case automobilistiche giapponesi più della svalutazione della moneta di alcuni punti percentuale. E se una valuta più debole potesse sostenere i produttori della Cina e la sua economia – come Pechino spera, il che è discutibile – il conseguente incremento delle vendite verso la Cina farà ben più che compensare l’impatto della valuta.

Le imprese giapponesi che vendono merci nazionali hanno il maggior numero di preoccupazioni, dal momento che un afflusso economico di merci dalla Cina offre nuove sfide alle aziende locali. «Vi è la preoccupazione che uno yuan più debole possa influenzare il mercato giapponese in termini di importazioni dalla Cina», ha detto Tatsuro Kanno della Kobe Steel ad Associated Press.

E per quanto riguarda l’assillato primo ministro Shinzo Abe, le azioni della Cina gli stanno semplicemente concedendo maggiore autorità per un ulteriore allentamento monetario.

Articolo in inglese: ‘What a Cheap Yuan Means for Rest of the World

 
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