Com’era la musica degli antichi greci? Esempi, regole e filosofia (+Video)

Di Vincenzo Cassano

Che musica ascoltavano gli antichi greci? A volte non c’è miglior modo per riconoscere l’animo di una persona o di un popolo che esaminare la sua arte.

La musica greca poggiava su un sistema teorico relativamente complesso, ma i pezzi musicali che si potevano ascoltare ai tempi erano con ogni probabilità molto semplici: gli strumenti esistenti erano pochi, e normalmente un pezzo musicale non richiedeva l’impiego di molti musicisti; spesso bastava solo uno.

I due strumenti principali, nell’antica Grecia, erano la cetra (o la lira, la sua versione meno complessa e meno costosa), strumento a corde, e l’aulòs, una specie di oboe (strumento a fiato).
La cetra era lo strumento sacro ad Apollo, dio della ragione e delle arti, mentre l’aulòs era legato a Dioniso, dio dei sensi, del piacere, del vino e della festa. Di qui la predilezione dei filosofi greci per la cetra: Platone, nella sua Repubblica, avrebbe vietato tutti gli strumenti a fiato, permettendo solo quelli cari ad Apollo. Sia per il suo suono lieve e celestiale, che per il modo elegante con cui la si suona, la cetra (o più corettamente la ‘citara’) emana un senso di purezza e pace: ancora oggi pensiamo agli angeli come dei suonatori di cetra o strumenti simili.

 

L’aulòs, invece, sia per il suono, che per il modo di suonarlo, tende ad evocare immagini più terrene. Secondo la leggenda, l’aulòs venne inventato dalla dea Atena, la quale però lo rigettò per ragioni estetiche: suonarlo le faceva gonfiare le gote e fare delle smorfie. Viene perciò ritenuto uno strumento più volgare, inadatto agli dei e quindi non conforme all’idea greca del bello.

Ma questo non deve far pensare che ai greci lo strumento non piacesse. La dualità tra dionisiaco e apollineo è infatti sempre esistita, e il tentativo di Platone di creare una società puramente apollinea, espresso nella sua Repubblica, è rimasto solo su carta.

I greci usavano anche il flauto di Pan e varie forme di percussioni, oltre, ovviamente, alla voce. Spesso la cetra accompagnava il canto e la poesia, e il racconto di miti: l’Iliade e l’Odissea di Omero, va ricordato, comprendevano l’accompagnamento della musica (che è purtroppo andata persa).

Normalmente, nell’antica Grecia la musica era accompagnata alla poesia, di solito cantata. Anche quando suonava più di uno strumento, erano spesso in unisono o forse a intervalli di ottava, quindi l’armonia complessiva dei pezzi musicali era molto semplice, nonostante l’impianto teorico, e anche filosofico, fosse complesso.

Un raro esempio di pezzo musicale completo tramandatoci dall’Antica Grecia è l’Epitaffio di Sicilo, rinvenuto come iscrizione su una tomba. Il testo del canto era il seguente: «Finché vivi, splendi; non affliggerti per nulla: la vita dura poco, e il tempo esige il suo tributo». Qui un tentativo di riproduzione della musica e del canto:

La notazione musicale avveniva utilizzando le lettere dell’alfabeto.

LA TEORIA MUSICALE E LE SCALE

Alla base della teoria musicale greca, c’era il tetracordo, inizialmente modellato sulla lira a quattro corde. La corda superiore e inferiore della lira esprimevano due note in un intervallo di quarta giusta (cioè a una distanza di due toni e mezzo, per esempio: Do e Fa); le due corde centrali erano variabili, e in base alla loro accordatura si generavano vari tipi di tetracordi.

I tetracordi principali sono quelli dorico, frigio e lidio. Quello dorico prevedeva degli intervalli rispettivamente di tono, tono e semitono, mentre in quello lidio il semitono era all’inizio, seguito da due toni, e in quello frigio il semitono era centrale. Va fatto notare che i termini dorico, frigio e lidio sono usati ancora oggi, ma con un significato diverso.

Le scale greche (chiamate armonie) erano discendenti. Questo perché la musica era ritenuta un dono divino, che quindi ‘scendeva’ dal Cielo. Il modo lidio greco corrisponde alla scala di Do maggiore odierna (però discendente). Era opinione diffusa tra i filosofi greci, che il modo lidio portasse a delle musiche degenerate, trasgressive e rammollenti, che indulgono troppo nelle emozioni.
Nella Storia, i popoli antichi hanno sempre ritenuto virtuoso l’autocontrollo, la forza e il coraggio, invece che l’indulgenza nei piaceri, la comodità e la mollezza; perciò Platone, nella sua Repubblica, affermava che i modi lidii non erano adatti all’educazione giovanile.

DALLA GRECIA ANTICA A OGGI

Quindi la musica di oggi si basa su questo modo lidio? Non c’è dubbio che Platone giudicherebbe malissimo la musica leggera moderna, ma dire che sarebbe dovuto al modo lidio è un po’ una forzatura; quando Platone criticava il modo lidio, non si riferiva semplicemente alla scala, ma a tutta una tradizione musicale che in quei tempi utilizzava il modo lidio: tradizione che quindi potrebbe comprendere scelte ritmiche e tematiche. Il modo lidio era così detto perché era utilizzato in particolare dal popolo dei lidi, probabilmente non molto ben considerato dai greci.
Non è detto però che la colpa fosse della scala in sé, anche se l’intervallo di semitono molto vicino alla tonica può in effetti creare una tensione molto forte: poco angelica, molto volgare; diversamente dal modo dorico, in cui l’intervallo di semitono è ben lontano dalla tonica (cioè la prima nota della scala) e quindi meno centrale. Questo è particolarmente rilevante se si considera che i greci tendevano a fare pochi salti d’intervallo e suonavano molto spesso di seguito le note vicine tra loro. Inoltre per un lungo periodo la musica greca, prima di utilizzare le armonie (scale) ha utilizzato i nomoi, che erano delle melodie prestabilite, da accompagnare al canto.

Per Platone il modo di suonare dorico era quello ideale, perché genera le virtù più alte, come la purezza, il coraggio, il senso della patria (la scala dorica, composta da due tetracordi dorici disgiunti è Mi Re Do Si La Sol Fa Mi). Il modo frigio (Re Do Si La Sol Fa Mi Re) è un po’ più emotivo, ma rientra comunque nella musica giudicata buona. L’Epitaffio di Sicilo segue il modo frigio.

Allora cosa possiamo imparare dagli antichi greci? Innanzituto che una musica non deve essere a volume sparato per poterla apprezzare. Certo, senza le automobili, i rumori, e i troppi pensieri per la testa era più facile apprezzare della musica tranquilla, lenta e a basso volume, godendone pienamente.
Ma anche oggi dovremmo tenere presente l’idea greca del bene e del bello. Quando ascoltiamo musica nelle cuffie o dallo stereo dell’automobile, stiamo ascoltando musica, o stiamo subendo una musica? Platone non ci approverebbe di certo.

 
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