Come funzionano i ‘paradisi fiscali’

I Panama Paper e la rivelazione delle attività finanziarie offshore appartenenti a innumerevoli celebrità, funzionari governativi (in carica e non) e personaggi dello sport suggeriscono che la questione dei paradisi fiscali, dell’elusione e dell’evasione fiscale sia sempre più grave. Ma in realtà non è così: i documenti di Panama mostrano infatti che nascondersi dietro una società di comodo ed evitare di pagare le tasse negli Stati Uniti o in altri Paesi ad alta pressione fiscale è sempre più difficile.

NESSUN MODO LEGALE PER EVITARE LE TASSE 

Per un cittadino degli Stati Uniti non esiste praticamente alcun modo di evitare di pagare le tasse negli Usa, anche se questo reddito è in qualche modo collegato a una società di comodo in una giurisdizione fiscale a bassa imposizione o a un paradiso fiscale: «Esiste una dottrina del diritto americano che si chiama ‘assegnazione della dottrina di reddito’. La persona che ha guadagnato, deve pagare le tasse» spiega Mark Leeds, socio dello studio legale Mayer Brown. Questo è vero per qualsiasi tipo di reddito, dagli investimenti alla semplice busta paga.
Leeds poi osserva che questo concetto è diverso per le aziende che per conto proprio producono reddito attivo. Per una società non statunitense l’elusione fiscale legale è possibile negli Usa, a patto che i ricavi siano stati generati all’estero e che non vengano trasferiti negli Stati Uniti.

Quindi, se le tasse degli Stati Uniti si devono pagare in ogni caso e supponendo che non si abbia intenzione di violare la legge, viene da chiedersi per quale motivo molte persone spostino il denaro per esempio nelle isole Cayman. Leeds ne ha chiarito il motivo: «Molte di queste giurisdizioni estere offrono una migliore protezione legale nel caso in cui si venga citati in giudizio».
In altre parole, se una persona deve dei soldi in qualsivoglia modo o forma, è più difficile confiscarne i beni nelle Isole Cayman che a Manhattan, anche se tutti sanno che sono lì: «le società di protezione dei beni, create in accordo alle leggi vigenti in giurisdizioni, certamente non statunitensi, sono in grado di offrire un notevole grado di protezione per gli individui dall’alto patrimonio netto».

QUANDO DIVENTA ILLEGALE 

Tuttavia, questo vantaggio è solo un aspetto del problema. In passato si potevano nascondere illegalmente soldi o redditi in un paradiso fiscale: la probabilità che il fisco degli Stati Uniti li scoprisse era molto bassa: «Il motivo per cui si poteva sperare di non pagare le tasse era dovuto al fatto che non esistevano informazioni certificate su una qualsiasi autorità fiscale. E Panama in questo senso non collaborava» spiega Avi-Yonah Reuven, professore di diritto presso l’Università del Michigan. Inoltre, fino a dieci anni fa era relativamente facile trasferire all’estero il denaro guadagnato o investito negli Stati Uniti per evitare di pagare le tasse, per lo più sui redditi da capitale e sulle plusvalenze, e in barba al fisco americano.

Va poi considerato che molte delle infrastrutture tecnologiche a Panama sono vecchie di decenni: eredità di governi che non erano in grado di trasferire istantaneamente le informazioni, e che non volevano passarle nemmeno con la tecnologia più lenta a suo tempo disponibile.

Se si vuole essere assolutamente sicuri che nessuno possa tracciare la propria movimentazione di denaro, si può usare la proverbiale valigia piena di contanti, oppure l’oro o i diamanti. Altri ricavi possono essere guadagnati al di fuori degli Stati Uniti e poi trasferiti, il che li rende a loro volta difficili da rintracciare.

Inoltre, se si depositano liquidi in un conto corrente, a Panama o alle Isole Cayman, di proprietà di una società di comodo che è possibile controllare, e si investe negli Stati Uniti o in Europa o in qualsiasi altro luogo, non si pagano le tasse su dividendi o plusvalenze.

Ma nessuno spiega al correntista come si possano controllare le società di comodo presso cui si è depositato il denaro: «nessuno fornisce le informazioni necessarie a chi possiede questo genere di società: è del tutto illegale. Nessuno sostiene che questo sia legale, a differenza di quello che fanno alcune aziende come Amazon e Apple», ha chiarito Reuven.

RECUPERARE I SOLDI ESENTASSE 

Supponendo di non essere stati scoperti e che il proprio nome non sia stato pubblicato nei Panama Paper, l’ultimo passo è recuperare il denaro esentasse. Questa operazione è quasi impossibile per chi vive negli Stati Uniti, e lo era anche prima degli stretti controlli sui paradisi fiscali; qualsiasi reddito a proprio nome derivante da un’attività offshore, potrebbe infatti far scattare l’allarme fisco Usa.
«Per questo motivo molti ha rinunciato alla loro cittadinanza statunitense e si sono trasferiti per vivere di rendita. Alcune persone si sono anche trasferite per i loro figli», ha chiarito Reuven.
Chi è riuscito a nascondere il suo denaro fino a oggi, ha ancora la possibilità di farlo rientrare negli Stati Uniti esentasse senza essere costretto ad andare in pensione a Panama: basta rinunciare alla cittadinanza Usa, dal momento che è la cittadinanza a rendere tassabile un individuo, indipendentemente da quale sia Stato del mondo dove vive.

Ma questo ‘passaggio’ dal 2008 è diventato molto costoso, poiché gli ‘espatriati nascosti alla vista’ (che fanno finta di aver venduto tutto prima di andarsene e attraverso una vendita simulata) devono pagare una tassa d’uscita.

Ma se il fisco americano non è a conoscenza del denaro depositato a Panama o alle Isole Cayman, una persona può ancora trasferirsi in un Paese che non tassa i redditi percepiti all’estero: «Una volta che si è fisicamente fuori dagli Stati Uniti, si può vivere in un posto che non tassi il reddito alla fonte, come Singapore o il Regno Unito».
A conferma di questo, secondo il Dipartimento del Tesoro, un numero record di 4.279 persone ha rinunciato alla cittadinanza statunitense nel 2015. Per esempio Eduardo Saverin, cofondatore di Facebook, è un celebre esempio di americano che ha lasciato il Paese per motivi fiscali: nel 2012 si è infatti trasferito a Singapore, anche se con ogni probabilità non aveva un conto offshore segreto da recuperare, dal momento che le sue azioni di Facebook sono visibili a tutti. 

PROSPETTIVE FUTURE 

Pare quindi che un cittadino americano possa farla franca, ma viene da chiedersi come si possa ripetere il trucco in futuro: i Panama Paper sono solo un esempio di come dei dati custoditi segretamente non siano poi così segreti, visto che qualcuno ne è entrato in possesso e ha passato gli 11,5 milioni di documenti alla stampa.
In altri casi, molti paradisi fiscali hanno iniziato a condividere le informazioni con il governo degli Stati Uniti e per questo non si possono più considerare veri ‘paradisi fiscali’.

Poi, va considerato un altro grande cambiamento a seguito dell’approvazione del Tax Compliance Act Foreign Account (Facta, una legge approvata nel 2010 che obbliga le banche estere a comunicare le informazioni al Tesoro degli Stati Uniti). Firmare questo accordo era in teoria volontario, ma gli Stati Uniti hanno fatto capire che la sua mancata firma avrebbe creato difficoltà per qualsiasi banca che intendesse operare negli Stati Uniti.

Bisogna poi considerare che gli Usa sono una delle principali destinazioni al mondo per chi voglia nascondere i propri soldi e non pagare le tasse a casa propria: per questo motivo ex paradisi fiscali come Svizzera, Isole Cayman, Isole Vergini Britanniche e anche il Liechtenstein ora condividono le informazioni con il governo degli Stati Uniti. Per inciso, Panama ha firmato il Facta solo dopo la pubblicazione dei Panama Papers ad aprile: «In sostanza tutti i paradisi fiscali sono soggetti al Facta, tutti loro hanno accettato», ha espresso Leeds, anche se il contratto non garantisce la conformità effettiva al cento per cento.

Inoltre esiste anche il ‘fratellino’ del Facta, ossia il Foreign Bank and Financial Accounts (Fbar), una normativa che costringe i cittadini statunitensi a dichiarare eventuali conti bancari esteri superiori a diecimila dollari. In caso di mancata comunicazione, se il fisco americano lo scopre, il cittadino incorre in grossi problemi; e se il paradiso fiscale fa parte del Facta, il fisco prima o poi lo scopre.
Quanto agli altri mezzi e modi per nascondere la proprietà americana di società di comodo attraverso deleghe non americane, la loro attuazione è sempre più difficile.

IL GRANDE PARADISO FISCALE AMERICANO

Gli Stati Uniti sono il primo Paese al mondo a riscuotere il pagamento di tasse derivanti da società offshore nei paradisi fiscali: si stimano, secondo un rapporto del Senato del 2014, 60 miliardi di dollari e la cifra non include l’elusione fiscale, più o meno legale, delle società.
Per quanto riguarda la situazione contraria, gli Stati Uniti non hanno firmato l’iniziativa dell’Ocse in merito allo scambio di informazioni in materia bancaria e di investimento; solo quattro Paesi non l’hanno sottoscritta contrariamente ad altri novantasette. Ma c’è una buona ragione: gli Usa sono una delle principali destinazioni per gli stranieri che vogliono nascondere i loro soldi e non pagare tasse nella loro nazione. In Nevada, South Dakota, Wyoming e Delaware la tassazione è molto bassa e le leggi sul segreto bancario e aziendale fanno impallidire quelle delle Isole Vergini Britanniche (tranne le norme che si applicano solo agli stranieri e che gli Stati Uniti non condividono con nessun governo straniero).
«È illegale, ma gli Stati Uniti figurano bene tra i paradisi fiscali – dice senza mezzi termini Reuven – Secondo la normativa fiscale degli Stati Uniti, se una persona non è un cittadino americano e non vive negli Usa non deve nulla. Hanno rinunciato a tassare gli investimenti esteri dal 1980 a causa del deficit di bilancio» (i capitali che entrano nel Paese favoriscono infatti l’aumento del valore del dollaro e finanziano le importazioni Usa). 

Quindi, se si vuole evitare di pagare le tasse in Germania o in Brasile, basta andare nel Nevada, che secondo il consulente finanziario di Rothschild & Co Andrew Penney citato da Bloomberg, sono «effettivamente il più grande paradiso fiscale al mondo».
Reuven ha spiegato che i paradisi fiscali Usa «sono dei ‘contenitori stagni’ verso qualsiasi Paese straniero, perché hanno delle leggi sul segreto che impediscono fisco americano e agli Stati di riportare indietro il denaro».
«Agli europei questo non piace affatto, e nemmeno ai latinoamericani. Chiediamo agli europei di aiutarci nei nostri problemi di evasione fiscale, ma noi non li aiutiamo».

Ma per gli americani questo non giochetto funziona, poiché le banche locali nei rispettivi Stati lo segnalano al fisco: «le istituzioni finanziarie devono identificare i propri clienti e riferire» sostiene Reuven; e le tasse federali si applicano sempre in entrambi i casi.
Tuttavia, secondo Victor Sperandeo, professionista della finanza e membro del Trader Monthly Hall of Fame, questa possibilità esiste anche per gli americani: «Se si risparmia sulle tasse in un certo posto, poi l’imposta federale si deve pagare, altrimenti è illegale. Se si vive a New York 180 giorni o più, si è soggetti alle imposte lì, ma nessuno lo fa».

PERCHÉ? 

Quanto al motivo per cui tanta gente in tutto il mondo fa tutta questa fatica pur di evitare di pagare le tasse e per commettere vere e proprie ruberie, le opinioni divergono: «Ha tutto a che fare con la natura umana. Le tasse pesano, la gestione di un governo è costosa. Non tutti vogliono pagare la propria equa quota, quindi cercano dei modi per ridurre i loro oneri fiscali, a volte legittimamente, a volte meno» dice Leeds, che continua: «Credo che continueremo ad affrontare gli stessi problemi, a prescindere dalle aliquote».

Sperandeo ritiene invece che esista una soluzione più semplice e che molto dipenda dall’aliquota: «la gente non vuole pagare tasse indesiderate. Penso che se il mondo fosse tutto come Singapore o Hong Kong, dove si paga il 15 per cento, tutti pagherebbero le tasse».

Per saperne di più:

 

Articolo in inglese: ‘Tax Havens: How They Work and Can You Do It Too?

 
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