Ciclismo femminile. Longo Borghini: adesso punto alle Ardenne

L’Italia del ciclismo femminile inizia da protagonista la stagione agonistica 2017. Sabato 4 marzo, una ‘eroica’ Elisa Longo Borghini, dopo  aver pedalato per 127 chilometri affrontando pioggia e gelo, sui cinquecentometri della rampa finale verso il traguardo di Siena si alza sui pedali, stacca tutte le migliori specialiste del mondo mentre riagguanta le due disperate contrattaccanti Shara Gillow e Lucinda Brand, e va a trionfare a braccia alzate in Piazza del Campo nella terza edizione della classica ‘Strade Bianche’, valida anche come prima prova dell’UCI Women’s World Tour.

«Fantastico! Sono caduta male su uno dei tratti più lunghi di sterrato. Ho pensato di non riuscire a finire, ma le mie compagne di strada mi hanno aiutato tantissimo. Audrey Cordon mi ha dato la sua bicicletta. – racconta la prima ciclista azzurra che ha vinto la classica toscana in campo femminile – La squadra è stata semplicemente incredibile – aggiunge – Questa vittoria è per loro […] una vittoria prestigiosissima, non la dimenticherò mai».

E sette giorni dopo, in Belgio, nella seconda tappa la neo leader del massimo circuito internazionale riesce a difendere la sua maglia di capoclassifica, aggiudicandosi il quarto posto anche in una Ronde van Drenthe poco adatta alle sue caratteristiche.

Seppur giovanissima, da alcune stagioni la portacolori della Wiggle-High5 è una delle massime esponenti del ciclismo femminile mondiale e un punto di riferimento del movimento nazionale. Fin dal suo esordio tra le ‘grandi’, la campionessa piemontese si è rivelata pedalatrice eclettica, tenace e dotata soprattutto di una grande determinazione, la stessa che ha lasciato trasparire, seppur con i suoi consueti toni pacati e modi estremamente garbati, anche durante l’intervista che ha concesso a Epoch Times.

Come si descriverebbe come atleta e come persona?

Faccio la ciclista di mestiere. Sono un corridore abbastanza completo, con qualche lacuna a livello di sprinter. Ho ottenuto un bronzo alle olimpiadi di Rio.
Vivo ad Ornavasso in provincia di Verbania con i miei genitori, e credo di essere una normalissima ragazza di 25 anni abbastanza tranquilla, senza troppi grilli per la testa.

Quando ripensa alla sua ultima vittoria alle Strade Bianche, quali sono la prima immagine e i suoni che le vengono in mente?

Ricordo in maniera particolare l’ultima curva, dove credo di essere riuscita a vincere la gara. Ho fatto una buona curva, l’ho presa in testa, sono uscita veloce con cinque metri sulla seconda, che mi hanno poi permesso di arrivare per prima a tagliare il traguardo.

Cosa significa per lei questa vittoria?

Per due anni consecutivi [nel 2015 e nel 2016, ndr] sono stata, una volta sul podio e un’altra volta quarta. Di conseguenza vincere al terzo anno di partecipazione è una bella soddisfazione e soprattutto vincere in una città così importante, una città di cultura e di arte è per me particolarmente motivo di orgoglio.

A quanti anni è iniziata la sua avventura ciclistica?

Ho iniziato a nove anni.

Quali immagini, persone ed emozioni ricorda di allora?

Fino ai 18-19 anni è stato semplicemente puro divertimento. In particolare, durante l’infanzia, la domenica era quell’occasione per poter andare con i miei genitori alle corse e, dopo aver finito di gareggiare,  per mangiare il gelato e stare in loro compagnia durante il viaggio di ritorno.

A quanti anni è diventata la sua principale attività?

A vent’anni.

Cosa le è rimasto più impresso del suo debutto tra le grandi?

In realtà, niente di particolare. Ovviamente si prova ad imparare sempre dalle persone più esperte, dalle cicliste di maggior calibro: ho sempre tentato di studiarle, di guardarle e di capire che cosa facevano, come lo facevano e come si allenavano, come mangiavano come riposavano, e ho cercato di imitarle.

Se dico Valkenburg 2012, Trofeo Binda 2013, Fiandre e Richmond 2015 e Rio 2016?…

Tutte queste sono gli highlights della mia carriera. Ho degli ottimi ricordi di tutti questi successi, se posso considerarli tali. Ognuno con delle emozioni particolari. Valkenburg è stata la prima volta che sono salita sul podio ad un mondiale [terza, ndr], ed ero anche molto giovane. Il Binda è stata la gara più importante che ho vinto nel 2013, praticamente a casa mia. [La vittoria al giro de, ndr] Le Fiandre è stata un’emozione particolare perché è una gara prestigiosa, di altissimo livello. [Il campionato mondiale di, ndr] Richmond è stato semplicemente l’ulteriore quarto posto che ho ottenuto nel 2015. Però mi ha aperto le porte al club olimpico e, di conseguenza, alle Olimpiadi. Invece Rio 2016 è stato il coronamento di un sogno, perché come tutti i bambini sogni di andare alle olimpiadi e poi, alla fine, ti ci ritrovi.

Quale è stata la difficoltà più grande che ha dovuto superare da quando corre?

Nel 2013 sono caduta al campionato italiano. Mi sono fratturata la cresta iliaca e ho subito un brutto taglio agli addominali. La riabilitazione e la reintroduzione agli allenamenti e alle gare è stata particolarmente dura. Per me questa è stata un’occasione di crescita a livello sia sportivo, che umano e adesso sono contenta comunque di aver camminato su quel percorso: come tutte le grandi esperienze nella vita, ti segnano, ti fanno crescere e ti fanno maturare; e io credo di essere maturata molto dopo quell’esperienza.

A chi o a cosa si ispira e qual è la sua massima aspirazione come atleta e come donna?

Non ho idoli e non ne ho mai avuti. Però ho una persona alla quale mi rifaccio spesso, e che guardo spesso, è mio fratello Paolo, che è stato professionista dal 2004 al 2014. Per me è stato un esempio, sia a livello umano che a livello professionale. Nella vita vorrei essere umanamente grande come è stato mio fratello.

Qual è il più grande pregio del suo carattere come atleta e cosa vorrebbe invece migliorare?

Credo che siano gli altri a dovermi dire quali pregi ho. Per i miei difetti, l’unica cosa che posso dire è che sono un po’ una selvatica, perchè non mi piacciono tanto le attenzioni. Di conseguenza, a volte sono un pochino, non dico rude, ma introversa e un pochino orgogliosa. Dovrei lavorare su queste cose.

Cosa le piace di più della sua attività sportiva e cosa meno?

Non credo ci sia qualcosa che mi piace di meno. Della mia attività sportiva mi piace il fatto che si sta sempre all’aria aperta; che sia uno sport che, in un certo senso, rende liberi; perché quando sei in bicicletta quella è la sensazione più grande che si ha. Delle competizioni in bicicletta mi piace il fatto che sembra tanto uno sport individuale, quando è anche tantissimo di squadra e, soprattutto, mi piace il fatto che fino all’ultimo il risultato è sempre incerto.

Quanti chilometri percorre in bicicletta annualmente?

Penso diciottomila.

Sente mai il bisogno di staccare?

C’è sempre un periodo durante l’inverno [in cui stacco, ndr] e tendezialmente resto a casa. Durante le competizioni comunque si fa sempre in modo di avere l’opportunità di passare del tempo a casa o di staccare perché altrimenti sarebbe troppo. In quel periodo cerco di passare più tempo possibile con le persone a me care e di dedicarmi un po’ a me stessa, alle cose che mi piacciono fare o comunque cercare di fare una vita abbastanza normale.

Cosa ha dovuto sacrificare per il ciclismo?

Ho dovuto… ho voluto, non ho dovuto. Avevo iniziato l’università, però mi sono data tre anni per provare a fare qualcosa di buono nel ciclismo. Per ora mi sta riuscendo e quindi ho momentaneamente accantonato l’idea di laurearmi.

Se e come è cambiato il suo modo di vedere lo sport in questi anni?

No, non è cambiato. Per me lo sport è sempre stato uno stile di vita, perché vengo da una famiglia di sportivi. Ed è stato anche sempre divertimento.

Che insegnamenti ha ricevuto dalla sua famiglia e quanto è stata utile per la sua carriera sportiva?

La mia famiglia è sempre stata basilare in tutto ciò che ho fatto. Come d’altronde lo sono le famiglie di chiunque credo. Per quanto riguarda lo sport, la mia famiglia mi ha sempre educata secondo questi valori che sono la dedizione, l’allenamento, il sacrificio, la forza di volontà che in qualche modo ti ripagano sempre.

In questi anni è cambiato secondo lei il ciclismo femminile?

Si, sicuramente. Rispetto ad alcuni anni fa si è alzato il livello: ci sono squadre attrezzate in maniera veramente professionale, e le gare sono più belle da vedere.

Cosa migliorerebbe in questo ciclismo?

Sicuramente ci sarebbe da migliorare l’esposizione mediatica. Lo si dice e ridice da anni. Spero che si stia andando nella direzione giusta. A me sembra che sia così, mi sembra un trend positivo e spero si possa continuare in questo senso.

Com’è il rapporto con le sue colleghe, sia compagne di squadra e sia avversarie?

C’è grande rispetto.

In futuro se avesse dei figli che volessero calcare le sue orme cosa direbbe loro?

Qualsiasi sport i miei figli vorranno scegliere, penso che li appoggerei e farei quello che stanno facendo e che hanno fatto con me i miei genitori in passato, ovvero li supporterei e inciterei a divertirsi. Finché si divertono li lascerei fare qualsiasi cosa.

Quali sono i suoi prossimi obbiettivi a breve termine e quelli a lungo termine?

Diciamo che quest’anno ho individuato nella metà di aprile il mio primo obbiettivo. Mi piacerebbe essere in forma per l’Amstel Gold Race, la Liegi-Bastogne-Liegi e la Freccia Vallone [le classiche delle Ardenne, ndr]. Poi vorrei provare a fare abbastanza bene il Giro d’Italia femminile, il Mondiale e, a lungo termine, mi piacerebbe poter rifare le Olimpiadi.

Ha già pensato a cosa farà quando smetterà di correre?

Ho la grandissima fortuna di appartenere al gruppo sportivo delle Fiamme Oro, che mi supportano ormai dal 2015. Di conseguenza, credo che rimarrò a prestare servizio per la Polizia per ripagare tutto l’appoggio che mi hanno dato e che mi daranno in questi anni di carriera sportiva.

 
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