Potere e propaganda, la guerra della penna in Cina

Dopo il tour dei media statali fatto dal leader del Partito Comunista Cinese Xi Jinping a febbraio, i censori del Partito sono stati insolitamente aggressivi: la pagina social di un popolare magnate cinese è stata cancellata da internet, un’autorevole rivista finanziaria ha avuto l’ardire di denunciare i censori, non una ma due volte (ricevendo in cambio un’ulteriore censura), e un giornalista cinese è scomparso mentre si recava a Hong Kong (l’arresto del giornalista si ritiene essere legato a una strana lettera aperta che chiedeva le dimissioni di Xi).

Questi atti di censura sono stati interpretati dalla maggior parte degli osservatori come indice del pieno controllo di Xi Jinping sul’apparato della propaganda del Partito. Xi si starebbe quindi dedicando, ora, a eliminare del tutto la libertà di parola.

Se tuttavia si considerano gli scontri ancor vivi agli alti livelli del potere in questi ultimi anni, e se si esaminano i legami interpersonali di fedeltà tra i responsabili della propaganda e i precedenti storici, emerge un quadro ben più complesso: il controllo della ‘penna’, oltre che del ‘fucile’, è da sempre ritenuto cruciale dai leader comunisti.

CENSURA E RESISTENZA

Ren Zhiqiang era da anni noto come il Donald Trump della Cina, per i suoi interventi schietti e a volte pungenti con cui mostrava difetti del governo del Partito. I 38 milioni di follower sul social Sina Weibo, erano per lui una piazza dove esprimere le proprie opinioni. Il suo account è però stato censurato a fine febbraio.

I censori cinesi hanno affermato di aver cancellato l’account di Ren per via del suo «vile impatto»; in risposta al tour dei media statali di Xi, per esempio, Ren aveva scritto: «Da quando il ‘governo del popolo’ è diventato il ‘governo del Partito’?».

Quello che è accaduto a Ren ha fatto calare il silenzio sugli incontri politici annuali che si tengono a Pechino a inizio marzo. Funzionari ed economisti hanno avuto paura di parlare sinceramente, persino ai docili media statali: un fatto che è stato evidenziato dal delegato Jiang Hong e da Caixin, un’autorevole rivista finanziaria. Questo ha portato a un raro botta e risposta con i censori: tre articoli sul controllo della stampa sono stati pubblicati da Caixin e poi censurati.

Il 15 marzo, Jia Jia, un editorialista di Wujie News, è scomparso nel contesto dell’apparizione di una lettera aperta, scritta da «fedeli membri del Partito Comunista», che accusava Xi Jinping di aver portato la Cina nel caos con la sua campagna di anti-corruzione e di consolidamento del proprio potere.

La rischiosa intraprendenza di Ren Zhiqiang, di Caixin, e di chi ha scritto la lettera, è stata interpretata come il risultato di un crescente risentimento verso l’ascesa di Xi Jinping a una figura dittatoriale simile a quella di Mao, sebbene la lettera possa essere stata ispirata dalla storica fazione nemica di Xi. Nonostante il grande potere di Xi Jinping, in realtà, non è affatto detto che lui abbia il vero controllo della propaganda.

LA PARTE DIFFICILE DEL CONTROLLO

Sebbene il controllo della propaganda sia un nodo vitale per ogni dittatore comunista, la storia del Partito in Cina dimostra quanto il processo sia difficile.

Il ‘semidio’ del Partito Mao Zedong, quando volle dare inizio alla Rivoluzione Culturale nel 1966, non fu in grado di diffondere i suoi editoriali tramite i più grandi giornali statali: Mao e la moglie Jiang Qing dovettero bussare a qualche porta e accontentarsi della pubblicazione su Wenhui Bao, un giornale semi-ufficiale di Shanghai.

In modo simile, quando Deng Xiaoping, leader assoluto del Partito e successore di Mao, dovette promuovere il suo ‘Tour Meridionale’, non potè farlo con facilità: l’ex capo della propaganda Deng Liqun e l’allora capo del Quotidiano del Popolo Gao Di erano rivali di Deng, e quindi inizialmente il leader del Partito non poté usare i canali ufficiali.

Xi Jinping sembra essere in una situazione simile. In un noto paradosso della propaganda del PCC, il racconto adulatorio del tour di Xi da parte dei media di Stato, piuttosto che dimostrare il suo controllo assoluto, può essere visto come un segno della sua attuale debolezza.

UNA FAZIONE CHE RESISTE

Questo è dovuto principalmente al fatto che la propaganda è entro certi limiti ancora nelle mani di Liu Yunshan, membro del Comitato Permanente del Politburo (di 7 membri) e alleato del più grande ostacolo politico di Xi: l’ex leader del regime Jiang Zemin.

A partire dal 2002, Liu è stato una forza guida nella forte censura del regime, oltre che nella propaganda e nell’indottrinamento. Ha controllato direttamente il Dipartimento Centrale della Propaganda per un decennio, e dal 2012 è diventato capo della misteriosa commissione che controlla il Dipartimento: il Gruppo Centrale di Guida per la Propaganda e l’Ideologia. È anche a capo della Commissione Centrale di Guida sulla Costruzione della Civilità Spirituale, che include una forte componente propagandistica e ideologica; è infine a capo della Scuola Centrale del Partito, che forma i quadri del regime.

Questo rende Liu uno degli uomini più potenti del regime. La sua fedeltà al rivale di Xi Jinping (Jiang Zemin) – il quale aveva fatto entrare Liu in un Politburo espanso, dominato dai protetti di Jiang, persino durante il governo di Hu Jintao – significa che non tutto potrebbe essere come appare nel mondo della propaganda ufficiale.

Liu è solo uno dei pezzi nello scacchiere del potere di Jiang Zemin: altri pezzi chiave erano funzionari i cui nomi sono diventati ancora più noti negli anni recenti, come Bo Xilai, che un tempo aspirava al posto di leader assoluto, Zhou Yongkang, l’ex zar della sicurezza, e gli ex massimi generali Xu Caihou e Guo Boxiong. Tutti questi uomini influenti sono stati purgati con accuse di corruzione dopo l’ascesa al potere di Xi.

Quattro dei sette membri del Comitato Permanente del Politburo, in effetti, non erano nominati da Xi Jinping ma ereditati alla sua salita al potere nel 2012 come risultato del gioco di forze nel regime. Un gioco nel quale il potere non viene mai ceduto volontariamente.

LOTTA NELL’OSCURITÀ

Alcuni analisti del sistema politico cinese sospettano persino che l’idea di uno Xi Jinping come ‘reincarnazione’ di Mao Zedong sia stata, almeno in parte, un gioco fatto di sotterfugi: un complotto ordito dai suoi rivali politici, che lo osannano in modo da poterlo poi abbattere.

Per esempio la pensa così Xin Ziling, funzionario del Partito in pensione con ampie conoscenze ai livelli alti (era anche capo dell’ufficio editoriale dell’Università Nazionale della Difesa cinese). Gli inni esagerati scritti in nome di ‘Xi Dada’, cioè dello ‘Zio Xi’, la faccia raggiante di Xi che adorna medaglie e altri oggetti, e la trasformazione del Gala televisivo di capodanno in un puro e assoluto spettacolo di propaganda, sono sembrati oggettivamente a Xin Ziling esempi di una propaganda portata intenzionalmente all’eccesso. Chen Pokong, autore di vari libri sulla cultura politica cinese, ritiene che Xi Jinping stia realmente cercando di ottenere un potere assoluto: l’unico modo per poter controllare l’apparato del Partito. Ma sospetta che l’impianto della propaganda di Liu Yunshan, stia allo stesso tempo attuando un «assassinio mediante adulazione», o «peng sha».

«Prendi una persona, elevala di elogi fino ai Cieli, e quando cadrà sarà disastroso», ha spiegato Chen intervistato in un programma della New Tang Dynasty Television (Ntd), un’emittente newyorkese che fa parte, insieme a Epoch Times, dell’Epoch Media Group.

Quando la Cina sarà assalita da un’importante crisi economica, finanziaria o di altro tipo – sempre secondo Chen – i nemici di Xi insorgeranno e lo accuseranno di aver costruito il culto di se stesso. Lo scenario potrebbe sembrare strano nella sua complessità, ma bisogna ricordare che Deng Xiaoping fece fuori il successore designato di Mao, Hua Guofeng, con lo stesso metodo (sebbene in quel caso Hua stesso fosse stato responsabile del proprio auto-elogio).

Mingjing, un portale cinese estero specializzato nelle informazioni che trapelano dalle fazioni di Pechino, afferma che Xi avrebbe intimato ai funzionari della propaganda di mettere freno all’idolatrazione della sua figura, aggiungendo: «Non chiamatemi Xi Dada».

Le teorie sulle operazioni segrete della politica cinese costituiscono spesso delle lenti differenti con cui guardare e comprendere gli eventi: sono, quindi, più degli strumenti di analisi che affermazioni empiricamente verificabili. Secondo Wen Zhao (commentatore politico del programma Decoding Mainland News di Ntd), letta alla luce della guerra interna in Cina, la lettera inviata per e-mail a molti esperti di Cina che chiede le dimissioni di Xi Jinping puzza di un’altra operazione anti-Xi.

Wujie News riceve fondi dal Dipartimento della propaganda dello Xinjiang, dal gruppo Alibaba e dal SEEC Media Group. Wen Zhao fa notare che lo Xinjiang è stato per molto tempo una fortezza di Zhou Yongkang, ex zar della sicurezza e sottoposto di Jiang Zemin; la provincia è ora governata da Zhang Chunxian, sempre un alleato di Jiang.

È impossibile sapere se la lettera sia parte di una cospirazione dei nemici politici di Xi, sebbene fosse evidente l’intento di diffonderla ampiamente. Il caos successivo alla lettera, nondimeno, è chiaramente parte della guerra attualmene in corso per il controllo della propaganda in Cina.

 

Articolo in inglese: A Fractious Attempt to Control the Pen in China

 
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