Sci alpino, bilancio azzurro di metà stagione con Kristian Ghedina

A Zagabria, l’impresa in slalom speciale di Manfred Moelgg ha aperto il 2017 della Coppa del Mondo dello sci alpino. L’azzurro è risalito sul gradino più alto del podio in CdM dopo quasi anni 8 anni, ottenendo anche la prima vittoria per l’Italia nella CdM 2016/17.
Adesso, a un mese dal mondiale di Saint Moritz, la stagione dello sci alpino entra nella fase più calda. Kristian Ghedina, raggiunto al telefono da Epoch Times dopo le gare di Madonna di Campiglio, ha fatto un bilancio sullo stato di salute dello sci azzurro, e il clamoroso licenziamento dell’allenatore della squadra maschile di gigante e di slalom è stata l’occasione per approfondire l’importanza di un allenatore nello sci secondo il discesista azzurro più vincente di sempre, che dopo la sua straordinaria carriera da atleta ha anche fatto l’esperienza di allenare per tre anni il campione sloveno Ivica Kostelic.

IL BILANCIO

Diciamo che in campo femminile adesso c’è Sofia Goggia, che è un bel talento riscoperto: prometteva bene, e dopo ‘mille’ infortuni quest’anno è ripartita alla grande, dimostrando di avere la tempra giusta. Comunque quella delle gigantiste e delle discesiste azzurre sono entrambe delle belle squadre.
In campo maschile ci sono ancora ‘i veci’ Mani Moelgg, Cristian Deville, Patrick Thaler a dire la loro in slalom [speciale, ndr]; mentre in gigante forse è in atto un cambio generazionale. Invece in discesa [libera, ndr] sono partiti bene nelle prime gare, ma in Val Gardena non hanno ottenuto un buon risultato. La Saslong è una pista dove è difficile andare forte, perché bisogna essere bravi a lasciar correre, cercando di spigolare il meno possibile con gli sci: se gli dai un po’ più pressione perdi subito velocità accumulando ritardo; e i discesisti italiani sono bravi sul tecnico, ma su questo aspetto devono lavorare ancora un po’ .

A FEBBRAIO I CAMPIONATI DEL MONDO A SAINT MORITZ

A San Moritz ho disputato un Mondiale [nel 2003, ndr]. La pista è bella ma tutta sopra i duemila metri, quindi, non essendoci alberi, in caso cattivo tempo potrebbe uscirne una gara anomala. Se nevicasse potrebbero sospendere la gara: se la pista è nel bosco riesci ancora a scendere; ma quando intorno è tutto bianco, in caso di nebbia diventa tutto più difficile. Comunque in caso di gara regolare, gli azzurri hanno le qualità per fare bene in tutte le specialità.

Chi tra gli azzurri può trovarsi meglio nella discesa libera del mondiale?

Forse Paris, poi Fill e Innerhofer. Anche se ci sono passaggi tecnici, in cui ‘devi darci dentro di spigolo’, è comunque un tracciato sul quale devi ‘andare di sensibilità e lasciar correre abbastanza’: caratteristiche che si adattano meglio a Dominik Paris.

CRISI BRIGNONE

Quest’anno Federica Brignone sembra un po’ in difficoltà…

Anche se è un po’ sottotono rispetto all’anno scorso, ha mordente e vuole dimostrare il suo valore: se qualche giovane ti arriva davanti non fa per niente male, anzi ti stimola ad allenarti di più e ad impegnarti per batterla. La Brignone negli ultimi due tre anni era un po’ il riferimento delle gigantiste italiane; aveva questo ‘scettro di prima donna’, e perderlo da ‘fastidio’.
Quando sciavo, potevo anche essere etichettato come il discesista italiano più forte, però se mi fosse arrivato davanti Peter Runggaldier, o Alessandro Fattori, o Luca Cattaneo o Werner Perathoner, sarei diventavo ancora più ‘cattivo’, e avrei cercato di dimostrare che i miei risultati precedenti non erano solo un fuoco di paglia. Potrebbe accadere lo stesso adesso alla Brignone.

L’ALLENATORE SECONDO GHEDINA

A inizio stagione è stato licenziato in tronco l’allenatore delle discipline tecniche Steve Locher…

Non ho seguito molto [la vicenda, ndr], ma non ho mai sentito che sia stato licenziato un allenatore a metà stagione. Comunque bisognerebbe conoscere bene i motivi, che potrebbero andare oltre la mancanza di risultati.

Ma quanto conta l’allenatore nello sci?

La figura dell’allenatore per le donne è molto più importante che per gli uomini, perché bisogna pesare di più le parole e pensare di più al rapporto umano: con loro devi essere molto più psicologo e attento a non dare più attenzione a una che sta facendo meglio piuttosto che ad un’altra: sono più accorte su questo aspetto rispetto all’uomo, che tende ad essere più menefreghista. Comunque anche in campo maschile l’allenatore dovrebbe essere più un buon psicologo piuttosto che un buon preparatore, perché uno che gareggia in Coppa del Mondo, essendo già un atleta affermato, è tecnicamente formato: ad esempio io sono sempre stato in nazionale da quando avevo 16-17 anni, e gli errori che facevo allora lì facevo anche a 35 prima di smettere. L’allenatore può correggerti un po’, ma deve essere soprattutto bravo a stimolarti per tirar fuori il meglio da te stesso. Comunque ogni caso è singolare: c’è l’atleta che ha bisogno di essere ‘bastonato’ perché è un discolo… e un altro con cui devi usare un po’ più la carota, perché ci sono quelli che hanno bisogno di essere più coccolati.

Il mio allenatore doveva essere uno che mi faceva divertire; forse anche perché ho avuto un’educazione molto rigida a casa e temevo un po’ mio padre. Quando ero nello sci club non andavo d’accordo con gli allenatori troppo rigidi, e un paio di volte ho minacciato di smettere. Dicevo: “che prendano loro gli sci e facciano loro le discese. Io preferisco fare qualcos’altro, se devono sempre essere così insistenti”. Poi nei vent’anni passati in nazionale, il mio allenatore, i miei compagni di stanza, i miei compagni di allenamento diventavano quasi la mia famiglia: dal 1995 fino al 2006 ho trascorso i migliori anni della mia carriera, quando era capo responsabile degli allenatori Alberto Ghidoni, nel suo staff aveva anche ‘Much’ Mair, Alberto Ghezze e Matteo Guadagnini; con loro mi sono sempre trovato molto bene, infatti forse avevano capito il mio carattere e che non dovevamo farmi troppa pressione.

Dopo tre anni passati ad allenare un atleta come Ivica Kostelic…

Mi sono reso conto che è molto difficile allenare, perché devi dosare molto bene le parole. Io insistevo più sul rapporto che instauri con l’atleta, per farlo sentire a suo agio. Siccome ho fatto molta esperienza in discesa, chiaramente Kostelic si aspettava anche qualche informazione inerenti le piste – e quelle cose gliele ho dette – ma vedendolo sciare a volte in difensiva e trattenuto, cercavo di fargli capire di attaccare un po’ di più. Però era una situazione complicata, perché ha un ginocchio a pezzi e in quel caso, come allenatore, puoi parlarci assieme, immaginare, e anche dirgli di essere più aggressivo, ma non puoi sapere realmente cosa gli passa per la mente.
Come allenatore devi cercare di immedesimarti anche come atleta. Però se dovessero capitarti atleti poco onesti con se stessi, diventerebbe difficile capire se stanno veramente male o se mentono perché non hanno voglia di impegnarsi. Ecco perché fare l’allenatore è molto difficile.

Cosa rimane di quella esperienza?

Sono stati tre anni belli. Mi hanno dato tanto. Ho capito che Ivica è un duro, un tenace, con un padre molto severo e molto criticato – del quale ho preso le difese – per il suo sistema di lavoro, che consiste nell’arrivare casa sfiniti per dire che il lavoro è servito. Non lo considero completamente sbagliato, però bisogna anche valutare la macchina con cui hai a che fare: nel caso di Ivica è una macchina usata tanto e sfruttata al massimo: lavorava molto sulla quantità, e dopo una certa età ritengo non sia del tutto giusto.

E a livello umano?

La famiglia Kostelic ha basato tutta la sua vita sul portare a casa risultati. Il papà ha mollato tutto, dedicandosi completamente ai figli. Quando i ragazzi avevano 12-13 anni, partivano e stavano via da casa 5-6 mesi da casa; avevano una macchina con cui si portavano dietro pali, tenda e vivevano all’aperto; dormivano in macchina, o nei prati o nei ghiacciai d’estate; ogni tanto qualcuno li ospitava in inverno; ed erano sempre in grosse difficoltà economiche. Se penso al papà che ha dedicato tutto se stesso per cercare di far diventare forti i suoi figli – che poi hanno vinto entrambi la Coppa del Mondo generale [Ianica tre in campo femminile nel 2001, nel 2003 e nel 2006 mentre Ivica quella maschile del 2011, ndr], medaglie olimpiche e mondiali – mi levo tanto di cappello. Ed è per questo che prendevo le sue difese, soprattutto se consideriamo che in Austria, dove lo sci Alpino è sport nazionale, la federazione investe milioni di euro, e magari devono far passare sotto la supervisione degli allenatori più di 50 atleti per tirar fuori campioni come un Marcel Hirscher o prima un Bennie Reich, che paragono al livello di Ianica i Ivica Kostelic.
Adesso vedo che ci sono sistemi elettronici, tutto monitorato, tabelle di allenamento e cura dell’alimentazione. Ed è giusto che sia così. Però papà Kostelich, nonostante sia sempre stato criticato per sui suoi sistemi di allenamento molto rigidi, ha dimostrato che lavorando come si faceva una volta con i tronchi, i sassi, scatti, balzi e senza tante tecnologie, ottieni i risultati.
Io sposo un po’ questo filosofia di lavoro, perché un po’ l’ho provata su di me. Come mi ha sempre detto anche mio padre: «il lavoro paga». Non puoi fare il fannullone e pensare… si, può andarti bene una volta o due nella vita, però finisce là. Per avere successo devi fare sacrifici e rinunce tutti i giorni. Le cose più dure sono fare la vita da atleta, che comporta andare a dormire presto la sera, svegliarsi presto la mattina, allenarsi tutti i giorni e fare due, tre, cinque ore di allenamento o quello che serve, in funzione dei carichi tutti i giorni, compresi sabato, domenica e anche lunedì. Certo anche il riposo è fondamentale, ma bisogna sapere quando farlo.

Dove bisognerebbe agire per migliorare?

A livello giovanile siamo diventati un po’ poltroni. Quindi bisogna lavorare sui giovani per far crescere il potenziale. Anche qui il lavoro deve essere più a livello psicologico. Faccio una considerazione: in Austria tanti giovani vivono in paesetti di montagna, e tanti atleti vengono da famiglie che non hanno tanto e per ottenere i risultati, visto che lì il livello è altissimo, fin da piccoli sono più abituati a fare sacrifici, anche perché spesso sono figli di genitori che hanno masi in montagna e perciò vivono all’aperto, danno una mano in famiglia e badano alle mucche… mentre la cultura in Italia è quella di voler diventare forti con pochi sacrifici, e inoltre ci sono molti genitori pensano che i figli devono diventare forti per forza; c’è chi pensa di praticare lo sci e anche andare in giro con gli amici, saltando l’allenamento, e dire tanto sono forte lo stesso. Inoltre in Italia, se fai l’atleta a scuola sei penalizzato… però questo è un discorso più a livello politico. Ad esempio in Austria, come nei college in America, esiste il modo di portare avanti lo studio e di praticare lo sport. Un altro problema è il fanatismo dei genitori, che mettenoi pressione ai figli appena ottengono un paio di buoni risultati. I ragazzi fino a una certa età devono divertirsi: deve essere un gioco; poi quando avranno 15-16 anni – e i ragazzi cominciano a conoscere le fidanzate e i ‘divertimenti’ – la figura del genitore diventa importante per far capire ai figli che va bene divertirsi ma che non si può pensare di far le gare e nel frattempo fare la bella vita trascurando lo studio. Dovrebbero insegnare anche ad avere dei principi e dei valori, e la cognizione di dover lavorare per ottenere il risultato.

 
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