Caso Regeni, Gentiloni richiama l’ambasciatore italiano al Cairo

Era nell’aria, e alla fine è successo: il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni richiama l’ambasciatore Maurizio Massari dall’Egitto «per consultazioni». Una mossa non del tutto inaspettata, che alza il livello dello scontro tra il nostro Paese e l’Egitto sul caso Regeni.

La scelta dell’Italia viene dopo gli incontri di oggi tra gli inquirenti italiani ed egiziani: questi ultimi si erano impegnati a consegnare i documenti da lungo tempo richiesti dalle nostre autorità ma non lo hanno fatto, accampando argomentazioni obiettivamente poco convincenti. 
Dopo la serie di teorie fornite dall’Egitto sulla morte del ricercatore friulano, l’impressione generale in Italia è quantomeno di scarsa credibilità e affidabilità degli egiziani, oltre che di forti contrasti interni tra le diverse fazioni del regime del Cairo.

«Siamo arrivati con diversi traduttori per poter metterci subito al lavoro sui documenti – racconta una fonte anonima al Fatto, riferendosi all’incontro tra gli inquirenti – ma non c’è stato bisogno. Nel dossier c’erano pochissime carte, molte delle quali già conosciute, altro che duemila pagine».

Proprio nelle scorse ore, il senatore Luigi Manconi (Pd) aveva chiesto il richiamo dell’ambasciatore: «In diplomazia il richiamo dell’ambasciatore non è un richiamo di guerra ma una forma aspra di dialogo. Questo registro superiore di dialogo diplomatico deve essere subito attuato», spiegava in una intervista a InBluRadio.

Il richiamo dell’ambasciatore (che, va sottolineato, è certo una misura forte ma di carattere ‘temporaneo’ e molto meno grave rispetto al ben più ostile ‘ritiro’ dell’ambasciatore, indicativo di rottura delle relazioni diplomatiche e normalmente foriero di dichiarazione di guerra) è in un certo senso ‘sorprendente’, visto che la stessa contromisura non è stata impiegata a suo tempo contro l’India per il caso dei marò. Nonostante questo genere di contromisura fosse suggerito e a volte preteso da più parti.

Insomma, qualcosa di diverso questa volta evidentemente c’è, considerando inoltre che, quando ancora Giulio Regeni risultava ‘solo’ irreperibile, in Egitto era andato nientemeno che il capo dei Servizi segreti italiani, il generale Alberto Manenti in persona.

Alcuni osservatori interpretano quindi l’elevato profilo attribuito a questo caso, come la dimostrazione del fatto che il ragazzo sarebbe stato una spia italiana (ma governo italiano e famiglia smentiscono). Non è chiaro, invece, se si tratti solo di un modo di agire diverso da parte del governo Renzi rispetto a quelli precedenti.

Quanto al senatore Manconi, su questo caso è sempre stato critico nei confronti dell’Egitto: «Alla morte di Giulio Regeni si è aggiunta un’altra tragedia: i due mesi e mezzo di menzogne egiziane. Non possiamo usare eufemismi all’insulto all’intelligenza. Partiamo con un ritardo increscioso che temo possa condizionare l’esito finale».

 
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