Panama Papers, dimissioni con retromarcia del premier islandese

Sigmundur David Gunnlaugsson sembrava essere la prima ‘vittima’ dei Panama Papers: il primo ministro islandese si era dimesso il 5 aprile per via di una società segretamente costituita a Panama e finita sotto la luce dei riflettori dopo la fuga di notizie della Mossack-Fonseca. Le sue dimissioni sembravano la prima grande conseguenza politica dopo la pubblicazione delle ‘Carte di Panama‘.

Ma Gunnlaugsson nel giro di una notte ci ha ripensato: il New York Times riporta infatti che il suo farsi indietro era da intendere in senso provvisorio, per un periodo di tempo «non specificato».

Il primo ministro aveva di recente chiesto scioglimento del Parlamento e nuove elezioni, dopo che alcuni documenti divulgati dal Consorzio internazionale dei giornalisti investigativi, avevano rivelato l’esistenza di titoli azionari che provano la comproprietà di Gunlaugsson e consorte di una società di facciata (denominata Wintris) nelle Isole Vergini Britanniche.

Dopo la pubblicazione del documento, si erano verificate numerose richieste di dimissioni di Gunnlaugsson: molti parlamentari sostengono che la proprietà di una compagnia estera costituisca un grave conflitto di interessi rispetto alla posizione pubblica di un Primo ministro; e il 4 aprile migliaia di manifestanti si erano riuniti fuori dal Parlamento chiedendo le dimissioni di Gunlaugsson.

Dopo la richiesta di voto di sfiducia da parte dell’opposizione, Gunnlaugsson aveva invece annunciato su Facebook la sua intenzione di chiedere lo scioglimento del Parlamento: «Ho ripetuto al capo del Partito dell’Indipendenza che se i parlamentari del partito non se la sentono di sostenere il governo […] scioglierò il Parlamento e chiederò nuove elezioni appena possibile».

Ma il presidente Olafur Ragnar Grimsson aveva rifiutato la richiesta; il presidente, secondo Reuters, voleva infatti discutere la questione con gli altri capi-partito, prima di decidere l’eventuale fine del governo di coalizione, composto dal Partito dell’Indipendenza e dal Partito Progressista di centrodestra del premier: «Devo determinare se ci sia sostegno all’idea di sciogliere [il Parlamento, ndr] tra la coalizione di governo e gli altri. Il Primo ministro non ha potuto confermarmelo, e quindi non sono intenzionato, in questo momento, a sciogliere il Parlamento».

Prima di arrendersi, il Primo ministro aveva dichiarato a Reuters Tv che, nonostante le accuse relative alla sua società estera, non si sarebbe dimesso: «Sicuramente non lo farò, perché quello che abbiamo visto in realtà è che mia moglie ha sempre pagato le sua tasse. Abbiamo anche visto che ha evitato qualsiasi conflitto di interesse investendo in compagnie islandesi mentre io mi dedico alla politica». Gunnlaugsson aveva poi aggiunto: «E infine, abbiamo visto che ho sempre voluto mettere gli interessi del popolo di Islanda prima di tutto, anche quando è andato a svantaggio della mia stessa famiglia».

Il primo ministro islandese negava anche ogni illecito nella costituzione della società a Panama; durante un’intervista per un’emittente svedese, infatti, Gunlaugsson alla domanda sulle sue proprietà a Panama si è allontanato dicendo: «Cosa cercate di inventarvi qui? È una cosa totalmente inappropriata».

Insomma sembrava finita. Ma, dopo l’annuncio delle dimissioni circolato nella giornata del 5 aprile, nella notte l’ufficio di Sigmundur David Gunnlaugsson ha pubblicato una dichiarazione che nega tutto: «Il Primo ministro non si è dimesso e continuerà a presiedere il Partito Progressista».

Articolo in inglese: Iceland PM Resigns, First Major Political Fallout From Panama Papers

 

 
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