Capitalismo Comunista – II

In Cina, nel momento in cui il sistema economico capitalista si è fuso con il comunismo si è creata un’unica struttura politica ed economica che non corrisponde né al socialismo né al capitalismo democratico. Nel secondo di una serie di quattro articoli, l’autore esamina il funzionamento del ‘capitalismo comunista’ in Cina. Parte 1.

Il ‘tour del 1992 nel Sud del Paese’ di Deng Xiaoping è stato indicato dagli addetti alla propaganda ufficiale cinese, come un punto di inizio per le riforme strutturali del Paese. In effetti, dalla prospettiva della transizione istituzionale, la Cina ha smesso di essere un’economia socialista alla fine del 1997, quando ha iniziato a privatizzare le imprese di Stato.

Queste imprese sono considerate uno dei pilastri del sistema economico socialista e nel momento in cui la maggior parte di queste viene privatizzata, il sistema si disintegra completamente, poiché se è caratterizzato dalla proprietà privata, diventa di fatto capitalista.

Ma è interessante notare che il Partito Comunista Cinese (Pcc) sta negando l’evidenza per quanto riguarda le proprie politiche di privatizzazione. Sebbene il processo abbia avuto effettivamente luogo, il Pcc non ha mai ammesso di averlo già completato da più di dieci anni. Le autorità hanno camuffato tale trasformazione chiamandola «riforma delle imprese statali», ma hanno evitato di specificare quale sistema economico la riforma ha prodotto. A dire il vero, ci sono solo due possibilità per la riforma delle imprese statali: la completa privatizzazione, o la privatizzazione parziale, che permette una proprietà in parte privata, con la maggior parte delle azioni che rimane di proprietà statale.

LA CRISI BANCARIA DEGLI ANNI 90

C’è una ragione per cui il governo ha scelto la privatizzazione, pur rimanendo vago sul da farsi.

Zhu Rongji, al tempo primo ministro, prese in considerazione due fattori per una decisione in questo senso: il primo era che le imprese statali erano ormai diventate un peso finanziario per il governo, poiché stavano portando il sistema bancario sull’orlo del collasso. L’era delle riforme economiche di Deng Xiaoping non aveva risolto i gravi problemi che stavano fronteggiando le imprese statali, le quali facevano affidamento incondizionatamente sui prestiti della banca statale. Tuttavia, le condizioni economiche peggioravano e molte imprese venivano quindi cedute per pagare debiti e interessi bancari. Dalla metà del 1990, una potenziale crisi del sistema finanziario delle banche era diventata sempre più evidente.
All’inizio degli anni 90, più del 20 percento degli investimenti delle quattro più grandi banche statali era costituito da debito inesigibile. Nel 1994, l’industria bancaria cinese ha subito la sua prima grave perdita a livello nazionale. Dal 1996, il settanta percento dei debiti totali delle banche era diventato inesigibile o arretrato.
Nella seconda metà del 1997, per salvare il sistema bancario dal collasso, il governo ha steso un piano di ristrutturazione per le imprese statali – in pratica una privatizzazione – per liberarsi della maggior parte delle 10.000 imprese statali e del loro fardello che gravava sullo Stato.

Il secondo fattore era costituito dal desiderio della Cina di aderire all’Omc (Organizzazione Mondiale del Commercio) per espandere le proprie esportazioni. L’Omc ha però posto un prerequisito: il passaggio a un’economia di mercato entro 15 anni, con l’abolizione dell’economia pianificata e l’implementazione della privatizzazione delle imprese statali. Se la Cina non avesse dimostrato di aver iniziato i processi di privatizzazione, non le sarebbe stato permesso di entrare nell’Omc.

Dato che il governo e i media hanno insabbiato i fatti riguardanti la privatizzazione, chi non ha mai lavorato in un’impresa statale non è consapevole del significato di «riforma delle imprese statali»: in effetti, tale «riforma» ha riguardato la privatizzazione di piccole e medie imprese e ha permesso alle grandi di essere quotate sul mercato: una privatizzazione parziale.

Le autorità hanno lasciato a direttori e manager l’attuazione delle ristrutturazioni e dei licenziamenti nelle imprese statali, di conseguenza qualsiasi malcontento sociale sorto dalla riforma veniva diretto a queste figure, piuttosto che al governo: di sicuro però, direttori e manager non hanno assunto tali responsabilità a titolo gratuito, in quanto erano pagati profumatamente.

La questione chiave in questo piano di privatizzazione era chi avrebbe comprato queste imprese. Come era successo anche in Russia, i direttori e i manager delle imprese statali non hanno a disposizione risparmi di centinaia di milioni per comprare queste attività, e i capitali stranieri hanno giocato un ruolo minimo in questo processo. Nel caso cinese, i manager delle imprese di Stato sono diventati i nuovi proprietari attraverso mezzi illeciti.

COPRIRE LE TRACCE

Questo è il motivo per cui il governo cinese non ha permesso ai ricercatori di studiare il processo di privatizzazione delle imprese statali, mentre i media cinesi semplicemente non hanno riportato la verità.

Paradossalmente, nonostante sia un argomento vietato all’interno del Paese, la Cina ha aperto la questione a osservatori esteri: questi, infatti, attraverso organizzazioni internazionali come la Banca Mondiale, possono entrare liberamente e condurre indagini su campioni nazionali per quanto riguarda lo stato della proprietà delle imprese statali dopo la privatizzazione. Nel corso degli ultimi dieci anni, gli studiosi incaricati hanno pubblicato un gran numero di libri in inglese sui risultati della privatizzazione, ma nessuno di questi è stato tradotto o pubblicato in Cina.

Il governo cinese ha permesso ai ricercatori stranieri di studiare le imprese statali allo scopo di fornire informazioni sul progresso delle privatizzazioni in Cina alla Banca Mondiale e alle altre organizzazioni internazionali: l’obiettivo ultimo era spianarsi la strada per l’ingresso nell’Omc.

Da quando la privatizzazione delle imprese di Stato cinesi è stata rivelata al mondo, l’atteggiamento del governo cinese all’interno della Cina può essere definito solo ‘autoinganno’.

Il dottor Cheng Xiaonong è uno studioso di politica e economia cinese e vive a New York. Si è laureato alla Renmin University, dove ha conseguito un Master universitario, e alla Princeton University, dove ha ottenuto il dottorato in sociologia. In Cina, Cheng era ricercatore politico e assistente dell’ex leader del Partito Zhao Ziyang, quando questi era premier. Cheng è stato visiting scholar all’Università di Gottingen e Princeton e ha contribuito come editore capo al giornale ‘Modern China Studies’. I suoi commenti e articoli appaiono regolarmente nei media cinesi.

Articolo in inglese: Capitalism With Chinese Characteristics: Privatization of State-Owned Enterprises

 

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