Bruno Ferrero, l’uomo che ha camminato tutta l’Italia

Spesso per compiere imprese straordinarie non è necessario essere persone fuori dal comune. A volte basta la passione, una buona volontà e munirsi di ingegno. Bruno Ferrero, pensionato 65enne nel settore edilizio e attualmente proprietario di una ditta di carpenteria metallica, è un tipico esempio. In una vita dedicata allo sport, soprattutto all’alpinismo, Ferrero ha compiuto una impresa in giro per l’Italia, unica e che ha dell’incredibile. Epoch Times lo ha intervistato per conoscere la sua esperienza, tra aneddoti e sana avventura.

Come è cominciata la tua avventura nelle camminate?

Tre anni fa e ho scoperto che mi piaceva. Camminavo qui ad Asti nel parco Lungotanaro, e anche lungo Canelli e San Damiano. Però i giri erano sempre uguali, al che mi sono detto che se avessi percorso queste tappe in fila, sarei arrivato a compiere un bel percorso. Quindi ho compiuto la mia prima impresa, camminando da Asti fino a San Nazzaro dei Burgundi, in provincia di Pavia, sempre seguendo il Tanaro. In seguito ho camminato sempre vicino al Po, dove tra l’altro gli argini sono bellissimi. Sono stato in numerosi posti, per esempio a Suzzara, dove ho ritrovato alcuni compagni di cantiere, tra risate e scherzi. Da lì, poi sono arrivato fino a Chioggia e ho camminato fino a Venezia, dove mi ha poi raggiunto mia moglie che mi ha portato a casa.

Questa è stata la tua prima avventura?

Esatto, la prima volta in cui sono stato fuori casa con il mio carrettino, la tenda.

Parlami del tuo carretto

L’idea mi è venuta pensando di essere il più indipendente possibile nelle camminate. Di conseguenza, prima di partire, ho acquistato un carrellino portabambini da bicicletta, l’ho modificato togliendo l’aggancio alla bici e ho saldato una specie manubrio, trasformandolo quindi in una sorta di risciò. In pratica, mentre camminavo con i bastoncini il carrellino veniva spinto attraverso il manubrio che era attaccato alla mia pancia. Dentro ho sistemato la tenda, il sacco a pelo, il cambio vestiti, il cibo per me che consumavo in giornata e quello per il mio cane Penelope.

Ti accompagna sempre nei tuoi viaggi?

Sì, anche se nel secondo ha avuto qualche problema.

Ritorniamo al viaggio

Ho percorso mediamente dai 28 ai 35 chilometri per tappa. Conclusa la tappa, alla sera mi cercavo un’area camper dove dormire, ma il più delle volte ho bivaccato sotto dei pioppeti vicino all’argine del fiume. Stiamo parlando del mese di agosto. L’unico problema era come ricaricare il telefono.

Come facevi?

Andavo in un bar e chiedevo se potevo ricaricare.

Quindi non potevi nemmeno utilizzarlo troppo?

Esatto, però mi serviva per evitare di sbagliare strada poiché camminavo sugli argini di terzo livello del Po, che sono all’altezza dei ponti. In pratica, quando arrivavo vicino ai ponti ero alla loro stessa altezza ma non potevo attraversarli. Quindi ero costretto a tornare indietro e a prendere il livello inferiore e nell’economia della camminate un chilometro in più si fa sentire. È stata un’avventura bellissima, in cui ho fatto un’esperienza meravigliosa.

E come sei arrivato a fare il giro dell’Italia?

Era un po’ un sogno. Avevo il pensiero di partire da Asti e andare a Ventimiglia, passando per il colle di Tenda. E da qui proseguire percorrendo a piedi tutta la costiera ligure, quella tirrenica, ionica e adriatica.

Quando l’hai realizzata questa avventura?

Il 2 giugno 2016, ma sono partito da Ventimiglia. Ma questa volta ho completato il mio carrello.

Cioè?

Innanzitutto ho montato un pannello fotovoltaico per farmi caricare il cellulare e altri servizi utili tramite una presa di 12 volt. Qualche volta caricavo nei campeggi per fare prima, ma sono sempre stato indipendente.

Questo pannello l’hai realizzato tu?

È un pannello flessibile montato su un pannello di plastica e l’ho acquistato a un prezzo piuttosto conveniente. Inoltre ho sistemato uno stendino sul carrettino, dove riponevo i vestiti lavati.

Quanto è grande?

Circa settanta centimetri di larghezza e con le mie modifiche è diventato lungo due metri mezzo, perché camminando dovevo evitare di toccare le ruote.

Parlami dell’inizio della tua avventura

All’inizio le gambe mi tremavano.

Avevi paura?

Beh, sì. Partivo per un mondo ignoto. Mi ero fatto dei percorsi, per un totale di circa 3.200 chilometri. Inoltre mia moglie mi aveva assecondato all’inizio di questo viaggio, ma non era completamente d’accordo. Sono state le mie figlie a convincerla. Comunque, come ho già detto, sono partito da Ventimiglia il 2 giugno, ma nella prima settimana ho dovuto affrontare grandi acquazzoni in Liguria. Dei 350 chilometri di costa ligure, ne ho percorsi solo 200.

C’erano state della bombe d’acqua, in effetti

Sì. Poi la frana ad Arenzano è capitata il giorno prima che arrivassi lì. Sapevo poi che le Cinque Terre non sarei riuscito a percorrerle con il carretto.

Come mai?

Sarei dovuto scendere dalla statale alla strada lungomare per poi rientrare sulla statale. Tutto questo per spostarmi da ogni paese all’altro: non aveva senso.

Insomma, hai avuto un bel ‘benvenuto’

Sì. A quel punto ho detto a mia moglie di portarmi a La Spezia per vedere come sarebbe andata. Verso le 10 del mattino, il cielo si è aperto e ho cominciato il mio viaggio senza problemi, raggiungendo Marina di Massa e poi Viareggio. In pratica aveva smesso di piovere e meno male, altrimenti sarei tornato a casa. Inoltre, la situazione in Liguria faceva paura, perché oltre alle bombe d’acqua, il cielo era scuro e c’era vento. Quindi l’avventura ligure è passata così.

Il viaggio quanto è durato?

Avevo fissato un appuntamento con le mie figlie il 30 giugno a Gragnano, in provincia di Napoli. Mi muovevo per essere puntuale e mi sono accorto che stavo rispettando la tabella di marcia. Certo ho incontrato varie disavventure, come un tratto dell’Aurelia che non potevo percorrere. Oppure a Marina di Grosseto, dove c’è il fiume Ombrone, ma non ci sono ponti in una determinata zona: mi sono dovuto allontanare dal fiume verso l’entroterra per venti chilometri e tornare sul mare, per un totale di quaranta chilometri. In pratica la tappa di una giornata.

L’avevi scoperto sul momento?

Lo sapevo già da casa. Pensavo che l’avrei guadato, ma con le bombe d’acqua che ci sono state non era possibile. Inoltre dopo Grosseto, il mio cane ha cominciato ad avere problemi ai piedi e anche io.

Hai avuto le vesciche?

Sì, mentre a Penelope le sanguinavano i piedi. Alla fine ho chiamato mia moglie, mi sono fermato per due giorni e ho fatto rientrare il cane a casa. Questo è successo a Montalto di Castro, prima di Civitavecchia.

Quindi Penelope ha compiuto meno della metà dell’avventura

Eh sì. Ci siamo sempre allenati qua ad Asti e dintorni, dove non ha mai avuto problemi. Ma durante la mia avventura, ho camminato su piste ciclabili o sul lungomare. Di conseguenza, d’estate non era abituata. E poi ha sofferto il caldo.

Come è proseguita l’avventura senza il cane?

Ho camminato più in scioltezza, ho raggiunto paesi come Talamone, Orbetello, Ansedonia, Terracina – posti fantastici. E poi il Parco del Circeo, dove ho campeggiato. Finché il cane era con me, bivaccavo. Ma in seguito sono andato a dormire nei campeggi, anche per trovare un po’ di compagnia. Ho proseguito per Anzio, il Golfo di Napoli, Gaeta e Pozzuoli. Qui ho incontrato una persona che voleva intervistarmi. Da quel momento, questo giornalista mi ha sempre seguito su Facebook e mi ha motivato.

E poi?

Sono giunto a Pozzuoli e a Napoli, dove mi sono fatto un giro in centro. Sono arrivato fino in piazza del Plebiscito, dove ho acquistato una tagliata di frutta.

Ti veniva anche offerta?

Sì, tante volte. Poi sono sceso a Pompei, dove ho rotto il carretto un paio di volte. Si era rotto un manubrio di alluminio. Ho quindi inviato una foto a un mio ex-dipendente, che mi ha subito costruito un pezzo di ricambio. A Pompei, le mie figlie mi hanno riportato Penelope e il pezzo di ricambio. Così Penelope ha ricominciato l’avventura e alternativamente le mie figlie hanno camminato con me, mentre l’altra in macchina mi raggiungeva. Abbiamo percorso assieme tutto il golfo di Salerno, fino a Marina di Camerota. Le mie figlie sono poi rientrate e sono rimasto di nuovo con Penelope. Mia moglie mi ha poi raggiunto a Sapri, in provincia di Salerno, e siamo andati giù in Calabria fino a Praia a mare. Anche lì, si è riportata Penelope a casa. Ma arrivato a Lemezia Terme è iniziata una grande crisi.

Stanchezza?

Sì perché avevo percorso più di mille chilometri.

Tra l’altro, quanti chilometri percorrevi ogni giorno?

A giugno, considerato che non avevo perfezionato l’allenamento e che mi ero proposto di finirlo durante l’inizio della mia avventura, ho percorrevo 25 chilometri al giorno, massimo trenta. È successo che un giorno ne ho percorsi trenta, ma il giorno dopo non sono riuscito a ripetermi.

Di mattina?

Sì. Il pomeriggio andavo invece al mare. Avevo paura di ‘consumarmi’ e quindi ho posto attenzione al recupero. A luglio invece, con le giornate molto lunghe, partivo molto presto al mattino e da quel momento ho cominciato ad allungare le medie di percorrenza: da 30 a 40 chilometri al giorno. Il pomeriggio non andavo più al mare, ho fatto solo qualche bagno.

Eri più allenato?

Sì. Verso mezzogiorno mi fermavo e mangiavo un bel piatto di pasta nei ristoranti, dove spesso mi offrivano il pranzo, dicendomi che erano onorati di avermi ospitato. Poi ripartivo e verso le 16 chiudevo la tappa.

Durante questa tua avventura hai mangiato di più?

Sì, se non mangiavo la pasta sentivo un calo di forze, il naso che si chiudeva e le orecchie che si tappavano. Come se mi spegnessi. Poi per evitare i crampi ho assunto magnesio. Al mattino bevevo un litro di succo di frutta del supermercato. Mediamente consumavo 6/7 litri al giorno di bevande, tra acqua, succo di frutta e birra, che è ricca di potassio.

Un giorno però, mi pare il 12 o il 13 luglio, sono entrato in un campeggio a Marina di Catanzaro, ma non ho nemmeno sistemato la tenda. Avevo bisogno di dormire. Ero molto stanco, avevo deciso di stare lì un giorno, in attesa di decidere se tornare a casa o no. Quel giorno ho dormito molto, mi sono comunque svegliato alle sei e sono poi andato in spiaggia, che peraltro secondo me era la spiaggia italiana più bella che ho visto: gerbida, senza ombrelloni, molto bella. Inoltre non si vedeva dal campeggio perché era nascosta, fantastica! Ho camminato un’oretta per quel posto, sono poi tornato nel bungalow e ho dormito fino alle 5 del pomeriggio. Da lì, mi sono preparato un bel piatto di carbonara. La sera ho poi mangiato il morzello, un piatto tipico a base di frattaglie di bue. Mi hanno spiegato che i contadini lo mangiavano per colazione verso le 10, quando però avevano già svolto cinque ore di lavoro. È molto energetico. Ne ho mangiato un piatto come da tradizione e un altro piatto alla piemontese, cioè accompagnandolo con il pane. La sera invece ho fatto karaoke ed è stato bellissimo.
Sempre lì, ho incontrato un cantante abbastanza noto, Pino Ranieri che è attualmente caporedattore di un giornale di Catanzaro, che oltre ad intervistarmi, mi ha chiesto se mi sarei fermato fino a sabato. Volevo ripartire, ma alla fine mi sono fermato per un totale di tre giorni, ricaricando alla grande le mie ‘pile’.

Da lì, ho cominciato a spingere, con tappe sopra i quaranta chilometri al giorno. Mi imponevo quel chilometraggio.

Addirittura

Ero talmente gasato, non vedevo l’ora di arrivare in Puglia, nel golfo di Taranto. Volevo vedere dalla Calabria questo golfo e in effetti è stato spettacolare. Nel Crotonese ho avuto tre giorni di difficoltà, perché soffiava un forte vento contrario; è stato molto faticoso ma oramai come si dice ‘avevo la gamba’. Ho anche cambiato le gomme perché avevo bucato, ma sapevo che avrei chiuso la mia impresa.

Però!

Eh sì, ogni giorno percorrevo tre tappe da quindici chilometri. Partivo a digiuno (bevevo solo un po’ di magnesio nell’acqua), poi dopo i primi 15 chilometri facevo colazione. Poi un altro step e mi fermavo verso l’una, rifocillato da un bel piatto di spaghetti. Mi veniva un po’ di sonnolenza, ma ripartivo subito e nel giro di cinquecento metri, mi sentivo di nuovo a posto di gambe. Una volta ripreso il ritmo, finivo la mia tappa senza problemi. Ci sono state delle giornate con 38-40 gradi, dove arrivavo a destinazione grondante di sudore.

Hai patito il caldo?

No assolutamente, neanche il freddo o la pioggia, né tantomeno la grandine. Portavo infatti un cappello.

Ok, eravamo rimasti al tuo arrivo in Puglia

La più bella regione d’Italia. Il Salento è bellissimo. Un giorno sono arrivato in un agri-campeggio in un uliveto con tende bellissime e una tenda madre dove tutti andavano a prepararsi il cibo e si ritrovavano. Un posto molto conviviale. Bene, vado per pagare e mi ricordo che il signore mi ha stretto la mano, invitandomi a ripassare dal posto. Bei ricordi. Come quando in Calabria, un signore mi ha riempito una busta di frutta. O come di nuovo in Puglia, quando un signore scende dal macchinone con i figli per farsi una foto con me ed esclama: “Tu la settimana scorsa eri a Porto Cesareo!”.

Veramente?

Sì, ero arrivato a San Foca, nel Salento e avevo parlato a questa famiglia del mio viaggio. Oppure una famiglia di francesi con tre bambini, due gemelli di sette anni e uno di undici. Ebbene, percorrevano in bicicletta dalla Svizzera a Bari. Io salivo per l’Italia, mentre loro scendevano. Mi hanno chiesto indicazioni stradali. Vedi, la cosa bella del mio viaggio è che ho incontrato tante persone interessanti!

Poi sul Gargano, per la terza volta mi ha raggiunto mia moglie con il cane e mi ha dato un grosso aiuto. Ho percorso i due laghi di Varano e Lesina, dove mi sono preso un giorno di riposo. Mi sono fatto un bel giro con il traghetto.

E il carretto?

L’ho lasciato in un campeggio. A Pescara ho rotto la ruota, che ho prontamente sostituito. In quel tratto ho comunque camminato bene, percorrendo anche sessanta chilometri in una giornata.

Però…

Eh sì, c’era mia moglie che si fermava in campeggio con me, disfava il campo e mi raggiungeva per fare colazione. Poi partiva, cercava un campeggio successivo; in questo modo il carretto era leggero perché la tenda era sul furgone. L’8 agosto ho festeggiato il compleanno a Margherita di Savoia in Puglia e il 30 agosto ero già a Trieste.

Molto motivato

Sì, quando sono arrivato a Santa Maria di Leuca, ho pensato che la mia avventura fosse in ‘discesa’. In una tappa in veneto, dopo Lido di Savio, in 35 chilometri ho bucato quattro volte. In quella giornata non ho percorso i miei soliti chilometri perché ho perso più di tre ore a cambiare camere d’arie o a ripararmele. C’era una vegetazione che non aiutava.

I ricordi più belli di questa esperienza?

Sono tanti. Posso dirti che mi ricordo il Camping Bellino di Catanzaro. Poi però mi viene in mente la persona che si è fermata, emozionata, dicendomi che aveva raccontato la mia avventura a sua moglie. Ha camminato con me un quarto d’ora, tra Rimini e Milano Marittima: mi girava intorno come una trottola e avrà avuto una sessantina d’anni. Mi ha detto che avrebbe voluto anche lui intraprendere un’avventura come la mia.

Era ispirato

Veramente. Oppure ricordo alcuni bambini. Per esempio a Napoli mi hanno domandato cosa vendessi nel carretto. Sono stati momenti talmente caratteristici che non posso dire quale sia stato il momento più bello. Tra l’altro mi sono scritto un diario di viaggio e alcune persone vogliono che scriva un libro. Ma non saprei, non vorrei cadere nel banale.

Cosa scrivevi?

Le mie impressioni, è stato un dialogo con me stesso. Per realizzare un sogno, lo devi ‘mangiare’, altrimenti non si realizza. Dico sempre che si vince sempre prima con la testa. Spesso, quando sono al mattino a casa sul divano, non ho voglia di camminare. Ma basta che mi metta l’imbrago, il cane che mi salta intorno e sono carico a mille. E questo mi piace.

Ora che hai fatto questa esperienza, hai un’avventura per il futuro?

Poco fa, prima di questa intervista, ho inviato una richiesta per mail perché sto cercando di costruire un carretto con un motore toroidale, caricato dai pannelli fotovoltaici e comandato da bastoncini che tengo in mano. In pratica l’idea è di avere dei variatori di potenza che mi permettano di cambiare la forza di spinta del carretto in base alla pendenza del percorso. Se è in salita spingerà di più che in piano, se è in discesa sarà frenato dal motore, così non lo devo fare io. In questo modo il carretto non mi pesa.
Inoltre quando alla sera arrivavo al campeggio, dovevo fare il campo, mettere il telo impermeabile, montare la tenda, gonfiare il materassino e al mattino smontare tutto. Tutto questo mi portava via mezzora ogni volta. Dopo aver concluso la mia avventura, ho pensato a un carretto dotato di una sorta di tetto di plastica apribile in cui dentro sarebbe stato tutto pronto. Poi, guardando in rete, ho visto che esiste la maggiolina, ossia una tenda che si può abbassare e alzare con una manovella e dotato di finestra. In pratica è composto da un guscio inferiore rigido di plastica o vetroresina e da uno superiore morbido, che costituisce la tenda.

Alzi una manovella per montare e smontare la tenda?

Sì, tre minuti di lavoro. Quindi tutte le cose che sono nel carretto le lascio dentro, assieme a un tavolino e a una sedia pieghevole. Questo guscio lo metterò sul carrettino. Stavo pensando comunque di copiare la meccanica di una sedia a rotelle elettrica (di quelle che hanno il joystick) e applicare una scheda elettronica al bastoncino, il sistema per variare la potenza dal bastoncino. A tutto questo aggancerò un piccolo carrello porta-bambini, dove mettere il cane quando sarà stanco. In questo modo è come se camminassi da solo, senza carretto.

Ed elimini un’ora al giorno di montaggio e smontaggio tenda

Esatto e così potrò percorrere distanze più lunghe. Voglio fare un raid Istanbul-Lisbona. L’idea è di salire da Istambul verso il Danubio per poi entrare in Serbia. Seguire il Danubio, sebbene abbia un andamento sinusoidale, è comodo perché mi permette di evitare le salite. E poi passerò per l’Ungheria, l’Austria e la Germania, dove abbandonerò il Danubio per entrare in Francia e raggiungere infine la Spagna e il Portogallo. Seimila chilometri, da marzo a settembre 2018.
E questo autunno probabilmente scalerò il Kilimangiaro. Sarà una cordata di sei giorni con mia figlia, in un viaggio organizzato. Quattro giorni di ascensione, con un giorno di acclimatamento.

Infine, per i miei 70 anni voglio regalarmi un sogno a cui sto lavorando, che mi consentirà di entrare nel Guinness dei primati. Ma non voglio anticipare nulla.

 
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