Attacchi di Parigi: la vita continua, nonostante la tensione

PARIGI— La capitale francese si è svegliata e ha iniziato una nuova settimana dopo un weekend pieno di tristezza. Tutti parlano ancora degli attacchi avvenuti venerdì sera. «La vita va avanti, dobbiamo continuare a vivere», questa è la frase più comune, usata anche nel tweet del presidente francese, nonché dai passanti, che la scrivono sui muri e sui monumenti.

I parigini vorrebbero andare avanti.

Generalmente, ogni situazione critica ha una fine, o almeno si sa cosa aspettarsi. Dopo tre giorni sappiamo che sono state condotte 168 ricerche amministrative, sette terroristi sono stati uccisi, quattro identificati e uno è fuggito.

Tuttavia, la conclusione si fa notare per la sua assenza. Infatti, questi attacchi segnano soprattutto una conferma, una continuazione logica di quello che è accaduto a gennaio, durante gli attacchi di Charlie Hebdo.

PIÙ TERRIFICANTE DELL’ 11/09

Gli americani Angie Spivey e Rick Myers sperano di ritornare presto a casa in Florida. La coppia viveva a New York durante l’11 settembre e Myers ha confrontato gli eventi di Parigi con quel triste giorno.

«Questo è molto diverso dall’11 settembre. A New York c’è stato un unico grande attacco e dopo tutto era finito. Qui ci sono stati attacchi più piccoli, in luoghi diversi. Nessuno sa quando succederà ancora e quando finirà. Adesso ci sono pattuglie armate ovunque».

Spivey doveva trovarsi dove è avvenuto uno degli atti omicidi di Parigi, ma era a casa nel momento in cui sono stati realizzati gli assalti, riuscendo a scampare all’attacco. Eppure, anche lei concorda che la sensazione è più intensa di quella provata in seguito agli eventi dell’11 settembre.

«Per me, quello che sta succedendo qui è ancora più terrificante. Qui tutti sono ancora agitati. [..] Ieri, noi ci trovavamo al ristorante, all’improvviso c’è stata un’ondata di panico. Tutti si sono precipitati nel retro del ristorante, abbiamo pensato che fosse un nuovo attacco».

Sono stati segnalati diversi falsi allarme, il che la dice lunga sulla tensione ancora palpabile sotto i cieli parigini.

Sabato sera, la notte successiva l’attacco, i petardi esplosi ad un matrimonio nelle vicinanze del quartiere storico di Marais hanno creato il panico a Place de la République, dove molti parigini si erano riuniti vicino il monumento principale per piangere le vittime. Nel quartiere di Jaurès/Stalingrad, la polizia ha segnalato «un’isteria collettiva» successiva a un falso allarme.

PARIGI CI È GIÀ PASSATA

Come ha detto una parigina, Lea Morrin, non è la prima volta che la Francia vive questo tipo di dramma: «L’unico aspetto positivo è stata la solidarietà che è emersa dopo Charlie Hebdo e vediamo giapponesi, americani, così tante persone che vengono e si raggruppano, non è una cosa che si vede tutti i giorni», ha detto Morrin, che spera ancora che la sicurezza sarà potenziata.

«Pensiamo sempre che sono cose che succedono agli altri, ma non a noi. Dopo Charlie Hebdo, ce lo aspettavamo. È stato il fattore scatenante e credo che dopo quell’evento eravamo pronti a quest’eventualità. Dove? Come? Non lo sapevamo, ma sapevamo che poteva succedere», ha detto Stacy Gualtier, esprimendo un sentimento simile.

«QUESTO NON CI IMPEDISCE DI VIVERE!»

Al numero 90 di Charonne St., anche dopo tre giorni le emozioni sono ancora molto forti. Tutti al bar La belle équipe conoscono qualcuno che ha visto quello che è successo e molti conoscono qualcuno tra quelli che sono morti.

Mohammed Elkrif, 60 anni, fatica a riprendersi da quello che ha visto. «In questo bar quando c’è un compleanno, tutti vengono e fanno festa. Questa volta era il compleanno di Myriam, il capo, e c’erano molte persone», ha detto.

Elkrif alle 19:30 ha chiamato il proprietario del negozio affianco, chiedendogli se stava per chiudere per raggiungerli. «Ha risposto: “Vengo dopo la preghiera”. Poi l’ho chiamato di nuovo, gli ho chiesto di chiudere e di venire. Ha quindi chiuso il negozio alle 21:30. Alle 21:37 c’è stata la sparatoria», ha ricordato Elkrif.

È stato in quel momento che la Volkswagen Polo ha fatto irruzione sulla scena. Un uomo è uscito dallo sportello posteriore sinistro e ha sparato a caso sulle persone che erano sedute lì. Poi se n’è andato, lasciandosi dietro morte e caos.

«Un amico è arrivato e a preso una ragazza tra le sue braccia — era Oda Yana, la sorella di Myriam. Ho pensato che fosse morta», ha detto Elkrif.

Poi all’ospedale, hanno detto che era ferita. «Tuttavia, non so dove si trova adesso», ha spiegato Elkrif, aggiungendo che non ha ancora notizie anche di altre persone. Sfortunatamente, le notizie su Myriam sono state confermate — è morta.

Sulla vetrina del La belle èquipe, forata dei proiettili dei terroristi, i passanti lasciano rose e tulipani. Ci sono anche i disegni dei bambini con bouquet di fiori.

«Non ci sono parole…Ci mettiamo nei panni delle famiglie, delle persone che si trovavano lì, che non hanno potuto fare niente. Non è chiaro quello che succederà nei prossimi giorni. Vivremo con la paura. Ma possiamo vivere così?! Abbiamo perso un cugino, una guardia di sicurezza della Costa d’Avorio che lavorava al Bataclan», ha detto Elkrif.

Jihay Kraïma, all’alimentari Garden of delights, non nasconde la sua irritazione. «Sentiamo che questa è una guerra. Dobbiamo essere vigili, uniti, non può impedirci di vivere. Dobbiamo vivere, sempre… Le persone che fanno questo non hanno religione, cultura, radici, niente. Io sono un francese di origini tunisine e musulmano. Noi non riconosciamo queste persone, nessuno le riconosce».

«QUELLO CHE SUCCEDE QUI, IN ALTRI PAESI È LA QUOTIDIANITÀ»

A Place de la république, il solito traffico rumoroso e congestionato del lunedì non ha distrurbato il gruppo di persone riunitesi attorno al monumento. Tre cerchi concentrici si sono formati e gradualmente sono cresciuti attorno alle statue del monumento: un cerchio di fiori e candele, un altro di parigini e visitatori, e l’ultimo delle telecamere dei giornalisti. A mezzogiorno, la piazza era gremita di persone. Dopo un minuto di silenzio, c’è stato un applauso e tutti se ne sono andati. Il traffico è ricominciato.

Kitty Svoboda, una donna svedese che vive nella capitale, è venuta a porgere le sue condoglianze. «Non sono molto spaventata. Tuttavia, prima pensavo: “Siamo in Europa, queste cose non possono succederci”. Quindi non sappiamo bene come reagire. È veramente uno schock. Sono uscita l’altro giorno, si poteva vedere la paura negli occhi delle persone. È difficile da descrivere, è un misto di paura e tristezza».

«Penso che prima le persone sapessero che era necessario combattere il terrorismo, ma adesso l’abbiamo visto in tutto il suo orrore. Probabilmente questo porterà gli europei a stare più vicini tra loro. […] Tutti adesso si sentono pronti a sostenere la Francia, forse è un segno che ci mostra che dobbiamo unire le forze per prenderci cura l’uno dell’altro», ha aggiunto la giovane svedese.

«È vero, è deplorevole», ha detto Melas Israïm, che non è d’accordo con la politica del governo «Hanno dichiarato ad alta voce lo stato di emergenza. Non ne valeva la pena, perché far restare le persone nella paura? Dobbiamo uscire, vivere! Non creare psicosi!».

Israïm ha una prospettiva diversa dalla maggior parte delle persone, provenendo da un paese dove una violenza simile è molto più comune: «Penso che un fatto del genere possa scuotere un po’ l’Europa e la Francia […] Siamo fortunati che tutti giorni viviamo bene e pacificamente, prendiamo il nostro caffè al bar, ci godiamo la nostra libertà. Tuttavia, quello che è successo qui in altri paesi è la quotidianità. In Congo, succede sempre, ci sono congolesi che muoiono, ci sono le milizie e non c’è stabilità. E quando succede qui, è come venire svegliati improvvisamente […] come se ci si fosse svegliati con un’amnesia totale».

ALLARMI BOMBA E RITARDI DELLE METROPOLITANE

È il lunedì dopo gli attacchi, mentre la polizia guarda in basso dalla cima della funicolare di Montmartre le cose sembrano più normali. Ci sono famiglie con i bambini che giocano, anche se ancora non molte persone sorridono.

Alla fermata della metropolitana Champs-Elysées-Clemenceau, i gendarmi, la polizia e i militari si incontrano, si stringono le mani come le squadre di calcio prima della partita. Alcuni durante la giornata si incontrano di nuovo.

Nel tardo pomeriggio, due linee della metropolitana sono state completamente bloccate e i servizi di altre due linee sono stati interrotti a causa di allarmi bomba. «I nostri funzionari stanno lavorando su un pacco sospetto alla stazione di Oberkampf», dice una voce attraverso gli altoparlanti.

I parigini sono abituati ai ‘pacchi bomba’ e ai ritardi della metropolitana. Anche le pattuglie militari, dotate di fucili d’assalto Famas fanno parte dello scenario.

Emiliano Mario, 90 anni e archeologo presso la Louvre society e ex docente, ha detto che non riconosce né il suo Medio Oriente, né la sua Francia: «Ho viaggiato tra la Siria e l’Iraq, durante tutta la mia vita ho lavorato con i musulmani. Non ho mai avuto problemi. Per questo sono stupito, non riesco a capire una cosa del genere. C’è dietro una questione politica? Personalmente, io penso che sia un crimine».

«Viviamo in un mondo che non è più quello degli anni Cinquanta», dice con rammarico. «La Francia degli anni Cinquanta era meravigliosa. È tutto finito, conosco la differenza. Ho perso uno dei miei amici al bar La belle èquipe. Stava prendendo un caffè come spesso faccio anche io. Sarei potuto essere con lui, ma mi trovavo al Louvre, sono stato così fortunato», ha detto, fissando l’orizzonte.

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