Arcipelago ‘Goolag’

È come una «setta» che soffoca la libertà di espressione e che punisce i lavoratori violandone i diritti: così vengono descritte, in un articolo sul Wall Street Journal,  le condizioni dell’ambiente di lavoro proprio negli uffici del colosso americano Google. A lanciare la coraggiosa accusa è un ingegnere del software licenziato dal gigante informatico per aver diffuso in buona fede uno scritto sulla diversità di genere.

James Damore aveva infatti condiviso, internamente a Google, un documento di dieci pagine nel quale suggeriva che la prevalenza degli uomini nel settore tecnologico doveva essere correlata, in qualche modo, a ragioni biologiche. Il suo testo argomentativo, sostenuto dalle più rispettabili fonti e riviste scientifiche, non ha però convinto i dirigenti di Google, inclusi l’amministratore delegato e il responsabile del settore delle diversità, che l’hanno ritenuto una violazione del codice di condotta della società, dal momento che «perpetuava gli stereotipi di genere». Damore è stato così licenziato alcuni giorni dopo la diffusione online del suo documento.

Nel suo spazio ‘Perché sono stato licenziato da Google’, Damore rivela quella che secondo lui è la cultura sul posto di lavoro nella Società del colosso tecnologico, dove la condivisione delle opinioni è circoscritta a un determinato ambito ideologico: «Per molti, incluso me stesso, lavorare per Google rappresenta una parte importante della propria identità, quasi come in una setta, con i suoi capi e santoni, considerati da tutti sostenitori esemplari del sacro motto “non fare del male”».

Damore scrive che il suo documento era stato ampiamente ignorato quando circolava all’interno dell’azienda ma, una volta divenuto virale, chi non era d’accordo con i contenuti ha inviato delle email di reclamo al settore delle risorse umane, chiedendo che il documento venisse censurato e l’autore punito.

Damore continua: «Nei piani alti dell’azienda hanno cercato di coprire questo tentativo di oltraggio, disonorandomi e falsificando il mio documento, ma non potevano davvero fare altrimenti: chiunque avesse apertamente dichiarato il suo sostegno al mio documento, o addirittura solo tollerato il mio punto di vista, sarebbe stato assalito dalla folla».

Peter Singer, uno dei più importanti filosofi al mondo, crede che Google abbia sbagliato nel licenziare Damore e, a tal proposito, scrive sul Dalily News: «Nel valutare l’azione di Google, non è necessario stabilire quale delle due parti abbia ragione, ma solo capire se la visione di Damore è tra quelle che un dipendente di Google potrebbe esprimere: io penso che lo sia».

Per Singer, Google nel licenziare Damore è andata contro il suo stesso codice di comportamento, che dichiara infatti che «ciascun dipendente Google deve fare del suo meglio per creare un ambiente di lavoro libero da molestie, intimidazioni, pregiudizi e discriminazioni illecite», e continua che mandando via l’ingegnere informatico, l’amministratore delegato è andato contro ogni singola parola del codice: «Ha creato un ambiente di lavoro in cui tutti quelli che la pensano come Damore saranno intimoriti e costretti a rimanere in silenzio».

A seguito del suo licenziamento, Damore ha creato un profilo Twitter dal nome ‘Fired4Truth’: nell’immagine di profilo, indossa una maglietta con scritto Goolag, con lo stesso stile del logo Google. ‘Goolag’ è ovviamente un’allusione ai gulag, un massiccio sistema di campi di lavoro istituiti nell’Unione Sovietica, dove hanno perso la vita milioni di prigionieri di coscienza innocenti.

L’account Twitter di Damore ha già circa 80 mila follower, nonostante sia stato creato da meno di un mese; di contro, Dannielle Brown, responsabile del settore delle diversità in Google, ha meno di 2 mila follower.

Il licenziamento di Damore ha indignato i sostenitori della libertà di espressione in tutti gli Stati Uniti, infatti alcuni volontari avevano organizzato una marcia davanti agli uffici dell’azienda in nove città degli Usa, che si sarebbe dovuta svolgere il 19 agosto, ma che è stata in seguito rinviata a data da destinarsi per causa allerta terrorismo. Il motto degli organizzatori è «Google è un monopolio che uccide la libertà di parola».

Damore, infine conclude: «Se Google continua a ignorare le questioni tanto attuali sollevate dalle sue politiche sulla diversità e sulla cultura aziendale, avrà qualche problema in futuro: sarà incapace di soddisfare le esigenze dei suoi straordinari dipendenti e finirà per deludere i suoi miliardi di utenti».

Traduzione di Alessandro Starnoni

Articolo in inglese: Google ‘Almost Like a Cult’, Says Engineer Fired Over Diversity Memo

 
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