Anche la Cina ‘affonda’ nei rifiuti

A luglio 2017 la Cina ha annunciato che avrebbe proibito l’importazione di rifiuti dall’estero, compresi plastica, carta e tessuti. Pechino è il maggiore importatore mondiale di materie riciclabili (riutilizzate nel settore manifatturiero), e nel 2016 ha importato più di 7 milioni e 300 mila tonnellate di plastica.
L’Unione Europea esporta circa il 40 percento della plastica da recupero in Cina e, stando a un servizio della National Public Radio statunitense, gli Stati Uniti esportano circa un sesto delle loro materie riciclabili in Cina.

La notizia del divieto cinese, ha sollevato in tutta Europa e Stati Uniti il problema di come gestire ora la mole dei propri rifiuti. I media cinesi hanno confermato che, dal primo gennaio 2018, la disposizione è in vigore.

UNA GRANDE DISCARICA

Le grandi città cinesi, spesso non riescono a smaltire i propri rifiuti, e aggirano il problema andando a scaricarli nei paesi circostanti.
La questione è emersa quando tre cinesi sono stati condannati al carcere, per aver portato illegalmente i rifiuti da Shanghai all’isola di Xishan, sul lago Tai. I ‘trafficanti’ di immondizia avevano spedito la spazzatura, con un battello, a un centro di recupero di Suzhou di Xishan dichiarando di volerla eliminare nel rispetto dell’ambiente. Dalla fine del 2015 all’inizio del 2016, i tre avevano scaricato circa 12 mila tonnellate di rifiuti, guadagnando tra i sette e i dieci yuan (0,9 – 1,3 euro) a tonnellata.
I traffici dei tre sono stati scoperti solo nel 2016, quando gli abitanti di Suzhou hanno notato la presenza di imbarcazioni che arrivavano di notte, emettendo un odore nauseabondo. Per denunciare il fatto, gli abitanti hanno condiviso la notizia sui social media e la polizia ha quindi aperto un’inchiesta, e scoperto che le imbarcazioni contenenti rifiuti provenivano dal distretto di Jiading, a Shanghai.


16 dicembre 2016. Un raccoglitore di rottami sul suo triciclo in una via di Shanghai. (Johannes Eisele/Afp/Getty Images)

 

Ma questo non è l’unico caso: anche in altre cittadine della provincia di Jiangsu, come Nantong e Wuxi, i media hanno segnalato casi di deposito illegale di immondizia proveniente da Shanghai.
Da diversi anni, Shanghai è infatti sommersa dai rifiuti. Nel 2013, il Quotidiano del Popolo, organo del regime cinese, pubblicava che Shanghai produceva ogni giorno 20 mila tonnellate di rifiuti: in due settimane, poteva riempire il famoso grattacielo della città, Jin Mao. Sono numerose le grandi e medie città cinesi che devono affrontare il problema: Pechino produce quotidianamente 18.400 tonnellate di spazzatura, mentre Guangzhou 18 mila.


Shanghai 14 giugno 2004, bambini pescano nei pressi delle immondizie. (Liu Jin/Afp/Getty Images)

L’agenzia di stampa ufficiale Xinhua, con un’inchiesta del 2016 ha scoperto che trasportare rifiuti e scaricarli, è il nuovo business del mercato nero cinese: una ‘manna’ a tutti i livelli della catena di ‘rifornimento’: Xinhua ha intervistato il proprietario di un battello, che ha affermato di guadagnare 2 mila yuan ogni spedizione (255 euro), mentre un intermediario incassa 30 yuan (4 euro) a tonnellata.
Nel 2014, il giornale cinese China Construction Daily pubblicava che due terzi delle città sono sommerse dai rifiuti. L’immondizia potrebbe ricoprire 500 milioni di metri quadrati, che continuano a crescere dall’8 al 10 percento all’anno.

CONTRABBANDO DI RIFIUTI

Prima che entrasse in vigore l’interdizione, in Cina il contrabbando di rifiuti era un’attività rilevante. Basel Action Network, un’Ong ambientalista statunitense, ha scoperto che gran parte dei rifiuti elettronici provenienti dagli Stati-Uniti continuano ad arrivare in Cina, soprattutto in una zona rurale a nord di Hong Kong, chiamata ‘Nuovi Territori’. Gli investigatori dell’Ong hanno messo dei rilevatori di posizione in alcuni rifiuti elettronici, scoprendo l’esistenza di centinaia di discariche, dove gli operai selezionavano a mano il materiale elettronico «esponendosi a polvere, vapori e a cartucce d’inchiostro contenenti mercurio».
La Convenzione di Basilea per i Paesi i via di sviluppo, proibisce l’importazione di rifiuti elettronici pericolosi provenienti dagli Stati Uniti. Ma secondo le stime di Basel Action Network, Hong Kong importa ogni anno tre milioni di tonnellate di questi rifiuti.


9 Agosto 2014, Shantou, provincia di Guangdong. Operai scaricano un camion di rifiuti elettronici (Johannes Eisele/Afp/Getty Images).

Nello stesso tempo, numerose imprese cinesi guadagnano con la vendita di abiti usati, provenienti da discariche, da società che gestiscono rifiuti o dagli obitori degli ospedali della Corea del Sud, del Giappone o degli Usa. Ora è da vedere se queste importazioni illegali continueranno, dopo l’entrata in vigore del divieto cinese.
Yan Dan, analista di affari cinesi di questo giornale, ha spiegato in un recente articolo che, considerata l’entità della distruzione ambientale già attuata dal regime, è difficile per i cinesi credere che una simile decisione ‘burocratica’ possa invertire la tendenza. Senza considerare che, finora, il contrabbando di rifiuti in Cina è stato possibile perché le autorità di Pechino hanno chiuso non uno ma entrambi gli occhi, di fatto autorizzandolo.

 

Articolo in inglese: As China Bans Imports of Foreign Waste, It Deals With Trash Problems of Its Own

Traduzione di Francesca Saba

 
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