Uno sguardo al passato: quattro promesse infrante alle Olimpiadi di Pechino 2008

Nel 2001 il regime cinese, candidatosi a ospitare i Giochi Olimpici del 2008, faceva (inutili) promesse di migliorare la situazione dei diritti umani e fermare gli abusi ambientali. La Cina ospiterà le Olimpiadi invernali nel 2022 e c’è il rischio che il Partito Comunista Cinese si ripeta.

1. LIBERTÀ DI STAMPA

«Quando i media verranno in Cina, daremo loro completa libertà di operare», aveva garantito Wang Wei, segretario generale del Comitato Organizzativo dei Giochi Olimpici di Pechino.

In realtà, per evitare eventuali cronache negative, a molti giornalisti stranieri sarebbe poi stato negato l’ingresso nel Paese. E anche quelli autorizzati a entrare, avrebbero scoperto che quei siti internet su questioni scottanti, come il Tibet, il Massacro di piazza Tiananmen o la persecuzione del Falun Gong, erano stati tutti bloccati. I giornalisti che avevano tentato di parlarne erano stati arrestati e i loro articoli eliminati.

2. DIRITTI UMANI

Le Olimpiadi «saranno di beneficio all’ulteriore sviluppo della nostra causa per i diritti umani», aveva rassicurato il sindaco di Pechino Liu Qi.

Anche qui, nonostante questa dichiarazione, in Cina sarebbero aumentate la tortura, la detenzione arbitraria e la rieducazione attraverso il lavoro forzato. Nei mesi precedenti le Olimpiadi, il Partito Comunista Cinese infatto incarcerava centinaia di dissidenti. L’attivista tibetano Tsering Woeser ha infatti riferito che quando nel marzo del 2008 erano scoppiate le rivolte e le manifestazioni tibetane, il regime cinese arrestava migliaia di manifestanti e ne uccideva a centinaia. Allo stesso tempo, impediva ai giornalisti di entrare nelle regioni colpite.

Secondo Minghui.org, sito che riporta notizie di prima mano sulla persecuzione del Falun Gong, il regime cinese intensificava anche la repressione della Falun Gong, autorizzando centinaia di arresti illegali in tutta la Cina. Inoltre trasferiva quei praticanti che erano detenuti nei campi di lavoro di Pechino per evitare che i media non venissero al corrente.

Nei primi di luglio 2008, il Comitato per i Diritti Umani del Congresso degli Stati Uniti rilasciava una dichiarazione che «condannava fortemente» la repressione del regime cinese nei confronti degli uiguri, la minoranza musulmana della Cina. Frank Lupo, deputato del Congresso degli Stati Uniti, sosteneva che al governo cinese non dovesse essere consentito di servirsi della «guerra al terrore» e del problema della sicurezza delle olimpiadi come pretesto per perseguitare gli uiguri.

3. RIMOZIONI E SFRATTI

Nel 2002, il regime cinese si era impegnato in un piano d’azione con l’obiettivo di prestare «particolare attenzione» alla conservazione degli edifici negli hutong di Pechino, gli antichi vicoli del centro storico. Le autorità avrebbero poi invece demolito le case e sfrattato i residenti per far posto alle nuove infrastrutture. Secondo il Centro per i Diritti abitativi e gli Sfratti, oltre un milione di residenti di Pechino si sarebbero poi trovate senza un tetto ed è sarebbe stato negato loro sia un adeguato indennizzo che la possibilità di far valere i propri diritti in sede legale.

4. INQUINAMENTO DELL’ARIA

Il regime cinese aveva promesso che entro il 2008, i livelli d’inquinamento dell’aria sarebbero stati conformi agli standard dell’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Le autorità cinesi hanno ridotto l’inquinamento, ma solo durante le Olimpiadi adottando misure a breve termine, come la chiusura delle fabbriche, l’interruzione dei lavori di costruzione e il divieto di circolazione per metà delle automobili nelle strade della città. Steven Andrews, consulente ambientale di Pechino, aveva detto al Washington Post che la qualità dell’aria nel 2007 era in realtà peggiorata rispetto al 2001.

Articolo in inglese: ‘Looking Back: 4 Broken Promises of the Beijing 2008 Olympics

 
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