L’Anno del rimpasto cinese

Nel 2017 le prime due economie mondiali affronteranno le sfide di una nuova stagione politica.

A occidente, un nuovo esecutivo affiancherà Donald Trump nel suo insediamento alla Casa Bianca come 45esimo presidente degli Stati Uniti.
A oriente, nel frattempo, durante un importante congresso politico atteso per la seconda metà dell’anno, è previsto il ritiro di cinque dei sette membri del Comitato permanente dell’Ufficio politico del Partito Comunista Cinese, l’organo decisionale di più alto livello all’interno del regime (senza contare una riduzione del personale di almeno due quinti nell’Ufficio Politico, e di oltre metà dei 376 massimi dirigenti del Comitato Centrale).
Il capo del Pcc, Xi Jinping, progetta di sostituire in occasione del congresso i suoi fedelissimi per rafforzare ulteriormente la sua campagna anti-corruzione. Ma che Xi riesca a collocare i suoi uomini nelle posizioni di comando, dipende dai progressi nel consolidamento del potere a scapito della fazione politica opposta guidata dall’ex leader del Partito, Jiang Zemin.

CORRETTEZZA POLITICA

Jiang Zemin è stato Segretario Generale del Partito dal 1989 al 2002 e, tramite uomini fidati inseriti nell’amministrazione del suo successore, Hu Jintao, ha continuato a influenzare nell’ombra la politica cinese per tutta la decade successiva: fonti di Hong Kong e alcuni media fuori dalla Cina continentale, hanno riportato come spesso gli ordini di Hu non abbiano superato i cancelli di Zhongnanhai, il complesso di edifici che ospita gli uffici e le residenze delle più importanti figure politiche del Pcc.
Un esempio era stata la tardiva risposta dell’esercito alle direttive di Hu Jintao in merito agli interventi di emergenza nello Sichuan, durante il disastroso terremoto del 2008, perché i generali ancora seguivano Jiang, come suggerito implicitamente dal racconto di un capo staff in pensione sulle operazioni di salvataggio.

Chiudendo gli occhi sulla corruzione e la cleptocrazia dei funzionari pubblici, Jiang Zemin era riuscito ad assicurarsene la fedeltà a ogni livello gerarchico: i più ambiziosi avevano trovato il proprio ascensore sociale nella persecuzione, voluta da Jiang (e inizialmente impopolare) del Falun Gong, una pratica spirituale tradizionale. «La fermezza dimostrata nel trattamento del Falun Gong sarà la tua moneta politica», queste le parole con cui Jiang aveva forgiato Bo Xilai, uno dei suoi fedeli collaboratori, secondo il giornalista Jiang Weiping.
E Bo Xilai aveva, quindi, tollerato violenze di gruppo e abusi ai danni di praticanti donne del Falun Gong mentre era governatore della provincia di Liaoning, una regione nel nordest della Cina che è stata anche l’epicentro del fenomeno del prelievo forzato di organi, come descritto nel 2015 dal giornalista investigativo americano Ethan Gutmann in The Slaughter [Il Massacro, ndt]. Secondo fonti della polizia stessa, inoltre, quando Bo Xilai amministrava la metropoli sudoccidentale di Chongqing, gli organi dei praticanti più anziani erano rimossi senza il consenso delle famiglie e destinati a uso medico. Ma la carriera di Bo Xiliai è ormai finita: con l’indagine e la condanna per corruzione del 2013, ha visto sfumare ogni possibilità di far parte del nuovo Comitato Permanente di Xi Jinping.

Ben quattro anni sono stati necessari al nuovo leader del Partito per ridurre il numero di seguaci di Jiang Zemin e la sua influenza, cambiando così la percezione di quello che ‘è politicamente corretto’. Xi Jinping ha mostrato con chiarezza che l’essere corrotti in Cina non paga più: oltre un milione di funzionari sono stati sottoposti a ispezione e richiamati alla disciplina, tra questi oltre 200 ricoprivano il ruolo di quadri direttivi di governo, esercito e aziende a partecipazione statale. La campagna contro la corruzione riscontra grande favore tra i cittadini, che fino a pochi anni fa erano spesso costretti a versare tangenti anche per usufruire dei servizi più basilari.

Attraverso questa campagna di pulizia, il nuovo leader cinese ha dato a intendere ai burocrati che è tempo di riporre la loro fedeltà altrove: lo scorso anno, Xi Jinping e il responsabile in capo della campagna Wang Qishan, hanno ripetutamente accusato gli alleati di Jiang Zemin di essere avidi cospiratori politici, estromettendo dai giochi di palazzo pezzi da novanta del calibro di Bo Xilai, Zhou Yongkang, Xu Caihou, Guo Boxiong e Ling Jihua.

Secondo Bill Gertz, giornalista del Washington Free Beacon, un funzionario pubblico dell’amministrazione Obama ha sostenuto che Wang Lijun, ex-vicesindaco di Chongqing, abbia riferito di «un’occulta ma sanguinosa lotta di potere nei piani alti del Partito Comunista Cinese» mentre tentava di disertare presso il consolato statunitense in Chengdu, nel 2012; mentre fonti interne al Partito confermavano il progetto di un colpo di Stato Bo Xilai, e del suo capo della sicurezza Zhou Yongkang.

L’attuale leader spinge il regime nella direzione di un governo che rispetti leggi e Costituzione. Dal maggio 2015, la Corte Suprema e le procure hanno l’obbligo di accettare tutte le denunce penali, mentre prima alcune potevano essere respinte arbitrariamente (e, a dicembre 2016, un tribunale cinese ha ribaltato una condanna per omicidio, dopo 21 anni che i funzionari locali ne impedivano il ricorso in appello).

I piccoli miglioramenti in campo legale sono però facilmente oscurati dal perpetrarsi degli abusi, come l’arresto, tra il 2015 e il 2016, di oltre 300 avvocati impegnati nella difesa dei diritti umani, e la lunga detenzione comminata a innocui attivisti. In una precedente intervista, Luo Yu, disertore e figlio del fondatore della polizia cinese Luo Ruiqing, ha ricondotto le apparenti incoerenze sulla sicurezza e la legalità del governo di Xi alla natura in sé dittatoriale del Partito, incline alla brutalità e alla repressione.

CONSENSO FORZATO

Considerando l’orientamento delle politiche di Xi Jinping, sembra che miri a insediare funzionari onesti, leali e fedeli, nel Comitato Permanete, che lo sostengano nei suoi programmi di riforma legale e contro la corruzione.

Ma i piani del Leader Massimo, come è chiamato in Cina l’attuale segretario del Pcc, potrebbero non realizzarsi se la fazione di Jiang Zemin manterrà ancora il potere di negoziare al congresso nazionale (che avrà luogo nella seconda metà del 2017): i candidati all’Ufficio Politico e al suo Comitato Permanente sono di solito nominati a porte chiuse dai membri di lunga data e dai predecessori; le fazioni politiche all’interno del partito stringono accordi e relazioni, che si riconfermano poi al congresso nazionale quinquennale.

La nomina di Xi a segretario generale nel congresso del 2012, per esempio, deriva da una mediazione tra il precedente leader del Partito Hu Jintao (che sosteneva la candidatura del suo pupillo Li Keqiang) e lo stesso Jiang Zemin (che aveva appoggiato Xi in cambio di tre poltrone nel Comitato Permanente per i suoi sostenitori). Quindi, anche se Xi ora sembra in massima ascesa a livello di controllo su Partito, esercito e diversi gruppi politici chiave all’interno del regime, Jiang Zemin può sempre inserire uno o due suoi delfini per ostacolare le mire di Xi sul Comitato, posto che riesca a mantenere sufficiente influenza.
Secondo una fonte molto vicina agli ambienti di Zhongnanhai, Xi tenterà perlomeno di garantirsi una posizione all’interno del Comitato per il suo amico di infanzia e solido alleato, Wang Qishan.
Wang ha superato l’età per il pensionamento, ma sarà invitato a rimanere in carica «in virtù degli enormi contributi dati nello sradicare la corruzione che lo rendono insostituibile». Wang conserverà i suoi poteri o addirittura potrebbe acquisire maggiore autorità, ad esempio dirigendo il nuovo Istituto contro la corruzione che l’amministrazione Xi sta creando a Pechino e in altre due province. L’ente potrà indagare sui membri esterni al Partito e gestirà la supervisione degli apparati legislativi e di sicurezza del regime.

 

Articolo in inglese ‘Top Chinese Leadership to Reshuffle in 2017

Traduzione di Alessio Penna

 
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