100esimo Giro d’Italia, Bruseghin: tanta salita per Nibali e Aru

Il centesimo Giro d’Italia, presentato il 25 ottobre, avrà oltre 43 chilometri di dislivello totale, e sarà uno dei più duri di sempre: sembra disegnato apposta per la grande sfida tra l’astro nascente italiano per i grandi Giri, il sardo Fabio Aru, e uno degli unici sei ad aver vinto Giro, Tour e Vuelta, il fuoriclasse siciliano Vincenzo Nibali. La carovana rosa, infatti, ripartirà il 5 maggio 2017  dalla Sardegna con le prime tre tappe per poi sbarcare in Sicilia, dove i corridori affronteranno già, come antipasto, il primo dei quattro arrivi in salita; e dopo 21 tappe, per un totale di oltre 3572 chilometri di corsa, il 28 maggio la cronometro conclusiva dall’autodromo di Monza a Milano assegnerà la Maglia Rosa definitiva.

Nell’attesa che i due campioni nostrani svelino i loro programmi, Epoch Times ha intervistato l’ex professionista Marzio Bruseghin, che dopo aver disputato 13 Giri d’Italia da corridore, ed essere salito sul terzo gradino del podio nel 2008, ha debuttato al Giro 2016 come commentatore per la Rai.

Qual’è stata la tua prima impressione sul percorso del Giro 2017?

Sembra ben disegnato, ma sicuramente è un Giro che segue la moda attuale, cioè sbilanciato a favore degli scalatori. Ormai è così anche al Tour, alla Vuelta…

Sulla carta potrebbe esserci suspense fino all’ultima pedalata; però potrebbe anche decidersi decisamente prima grazie allo strapotere di qualche corridore.

Chi saranno i grandi protagonisti?

Bisognerebbe prima conoscere il lotto dei partenti… ma se ci fossero Aru e Nibali, diventerà molto interessante per noi Italiani. Adesso che Nibali ha cambiato squadra, diventeranno avversari e correndosi contro, conoscendo ognuno i pregi e i difetti dell’altro, potrebbero far rinverdire i fasti delle grandi sfide, perchè se Aru è più scalatore puro di Nibali, Vincenzo – che comunque va forte in salita – è un corridore imprevedibile, fantasioso, che sa creare il momento per fare la differenza: è uno che non aspetta che la corsa gli vada incontro ma la crea, sia in discesa sia in altri momenti particolari.

E tra gli stranieri?

Tutti gli scalatori che vanno per la maggiore in questo momento: i francesi ne hanno due tre di interessanti; poi metterei anche Alberto Contador, che è sempre un signor corridore.
L’unico problema è che l’interesse è spostato verso il Tour. Quindi, è più facile che i corridori corrano Tour e Vuelta, piuttosto che Giro e Tour, perché vincere un Giro non è importante come vincere un Tour: un corridore difficilmente mette a rischio un potenziale podio o un risultato importante al Tour venendo al Giro; a meno che non venga con la certezza di vincerlo, così può dire: ”intanto ho vinto il Giro, e ce l’ho nel carniere”.

La partenza sarà dalla Sardegna…

Nell’isola c’è una grande passione per il ciclismo, a cui Aru ha sicuramente contribuito tanto. È un’isola bellissima, e il Giro d’Italia serve anche per far conoscere le bellezze del territorio: è una forma per far turismo da seduti. Quindi, vedo molto meglio una partenza dalla Sardegna, piuttosto che una dall’Olanda, dall’Irlanda o dalla Danimarca, anche perché tanta gente conosce il territorio italiano grazie al Giro d’Italia.

Le prime tre tappe potrebbero riservare qualche sorpresa?

Certo, anche in Sardegna se vuoi puoi fare percorsi estremamente impegnativi, ma credo che saranno dei percorsi ondulati e nervosi con l’incognita del vento in certe zone, comunque alla portata dei corridori veloci, perché al giorno d’oggi non esiste più il velocista che si stacca sul ‘cavalcavia’.

Nella quarta tappa i corridori sbarcheranno in Sicilia dove ci sarà già il primo arrivo in salita, sull’Etna…

Questa può essere un’incognita. I corridori devono arrivarci che stanno già bene, perché là il Giro non lo vinci ma lo puoi perdere. Inoltre, siccome l’ultima settimana è particolarmente dura, dovranno cercare di conservare lo stato di forma per tre settimane. L’Etna è una salita dura, e se ti coglie impreparato può farti male.

Il secondo arrivo in salita arriverà alla nona tappa nella quale i corridori dovranno scalare il Blockhouse…

Che è già una salita vera; comunque quegli arrivi ci sono sempre stati all’interno di un Giro, come ad esempio quelli sul Terminillo. Invece, sono proprio le prime sei tappe le più problematiche, perché a metà giro sei comunque rodato.

Il terzo arrivo in salita sarà al Santuario di Oropa, alla 14esima tappa, tu lì hai vinto la cronoscalata arrivando a un passo da indossare la Maglia Rosa.

Quella è una tappa che ha sempre fatto del male. Ricordo un’immagine di Miguel Indurain appoggiato alla transenna, messo alle corde da Piotr Ugrumov. Anche se non è lunghissima, è una salita vera e impegnativa che ha sempre fatto danni, passata poi alla storia per il numero fantastico di Pantani.

E solo due giorni dopo ci sarà il Mortirolo e la doppia scalata allo Stelvio…

L’incognita sarà pedalare per più di un’ora sopra i duemila metri… perché bisogna tener conto che, oltre alla lunghezza della salita, in quota si consuma anche di più.
È una cosa inedita per il Giro e bisognerà vedere chi risponderà meglio a questo tipo di sollecitazione… dai duemila ai quasi 2800 metri,dove si scollina, cominci a sentire la mancanza di ossigeno. Basta immaginare che in cima allo Stelvio vanno a provare le macchine prima di metterle in commercio, lassù anche una macchina ha problemi perchè c’è meno ossigeno. Quindi, anche il corpo umano, che sta facendo una combustione, in mancanza di ossigeno crea più scorie e ha più problemi.

Infine il trittico nel triveneto con il tappone dolomitico…

e soprattutto il Piancavallo!?! adesso che hanno fatto la strada nuova, è molto dura. Pantani nel 1998 è arrivato tutto solo in una tappa completamente pianeggiante con solo la salita nel finale.
Sarà un Giro molto molto duro, molto interessante, con anche l’incognita del clima nelle tappe di montagna: purtroppo il Giro d’Italia è stato anticipato, rispetto a quando finiva a metà giugno; adesso, dovendo fare i tapponi di montagna una settimana o due prima, a fine maggio, è più facile trovare neve e freddo, che possono scompaginare la corsa. Il problema è che se si disegna due volte lo Stelvio e poi capitano due giornate sbagliate, in cui cadono 50 centimetri di neve a 2700 metri, non lo fai.

Spesso i tifosi chiedono se sia più duro il Giro o il Tour, tu che li hai corsi entrambi cosa dici in proposito?

Il Giro è più difficile per la durezza del percorso, il Tour per il caldo, lo stress, il livello superiore degli atleti e anche per il modo di correrlo. Al Giro ci sono anche tante tappe nell’Appennino – come in Basilicata, dove la pianura non si sa neanche cos’è – che sono considerate di pianura o di mezza montagna al Giro, mentre al Tour sarebbero classificate come tappe di montagna. Inoltre, nonostante che al Tour negli ultimi anni stiano inserendo qualche difficoltà, correre al Giro è molto più complicato: in arrivi come in cima ad Assisi, anche se non sono durissimi, sei costretto sempre a stare attento e a correre davanti, spendendo molto anche mentalmente. Il Tour invece è più stressante perché c’è più agonismo dovuto a questa attenzione mediatica.

Francesco Moser alla presentazione del Giro ha dichiarato che forse ci sono troppe salite e si chiede troppo ai corridori…

Non ha detto un’assurdità. Ci vuole equilibrio. È giusto che ci siano tappe di montagna, dure e selettive, e che ci siano tappe facili con arrivi facili. È inutile la tappa di pianura con uno strappo a tre, a cinque o dieci chilometri dal traguardo: chi fa classifica ha lo stress di dover affrontarlo in testa perché, se succede qualcosa, potrebbe perdere più tempo che su un arrivo in salita. Questi sono tutti sforzi che si sommano e gli atleti avranno meno gambe per le tappe in cui dovrebbe dare più spettacolo. Le classiche tappe di trasferimento dovrebbero essere sacrosante. Con venti tapponi di montagna, non vuol dire che ne uscirebbe il Giro più bello del secolo. I corridori dopo dieci giorni si trascinerebbero in giro, oppure succede come quest’anno al Giro e al Tour che vanno in fuga sempre gli stessi 20-30 corridori fuori classifica, con dietro il gruppo che lascia fare. Perché la gente quando è stanca cerca di portare a casa la pelle.

Quelli degli ultimi anni sono Giri ben diversi da quelli, ad esempio, vinti da Miguel Indurain…

E Gianni Bugno. Anche se allora c’era Pantani, che arrivava sul podio e si giocava la vittoria, ora è normale per uno scalatore aspettare per fare la differenza negli ultimi due tre chilometri di una salita, perché sa che nelle cronometro i distacchi sono minimi. È vero, lo spettacolo è la salita, però bisogna far in modo anche che ci sia motivo per dare spettacolo. Il Giro d’Italia è sempre stata una corsa per corridori completi, che se la cavano su tutti i terreni, e non dico che bisognerebbe fare due crono di 70 chilometri come è successo in passato, però qualcosina in più non avrebbe fatto male.

Le cronometro sono state anche uno dei tuoi punti di forza, nelle quali hai vinto anche un campionato italiano…

Certo, difendo la mia categoria. Non esistono solo corridori che pesano 50-60 chili. Ci sono corridori che magari non lo vincerebbero, ma che potrebbero piazzarsi quinti, sesti, quarti e magari rendere un Giro più interessante.

Mi metto nei panni di uno scalatore: se so che più o meno a cronometro sono a pari livello con un altro scalatore, [in una tappa con un arrivo in salita, ndr] non corro il rischio inutile di partire da lontano, perché la corsa si risolve nell’ultimo o ultimi due chilometri. Se invece so di poter arrivare all’ultima crono a pari tempo con un corridore in grado di rifilarmi tre minuti contro le lancette, cercherei di avvantaggiarmi.

I Giri moderni spesso costringono i corridori a fare lunghi trasferimenti tra una tappa e l’altra…

Sono dell’idea che i lunghi trasferimenti facciano malissimo al ciclismo. Pensiamo a una giornata tipo del ciclista in cui la tappa parte a mezzogiorno: ci si sveglia alle otto; a colazione hai già tutto lo stress pre gara e magari devi fare 70-80 km per andare alla partenza perché l’albergo non è proprio vicino; fai la tappa con arrivo intorno alle sei; fai la doccia e magari hai altri 200 chilometri da fare per andare in albergo, dove ci arrivi alle otto di sera; ceni alle dieci, ed è già il giorno dopo. Non hai il tempo per metabolizzare anche solo mentalmente la fatica. Una volta, le tappe finivano molto prima e tante volte andavano all’albergo in bici. Avevano quelle due ore di tranquillità che aiutano: magari per leggere un libro o solo per riposare. Adesso questi momenti non li hai più. Mi ricordo nell’ultimo Giro che ho fatto la tappa che arrivava in cima allo Stelvio, si partiva molto presto, e sono arrivato in albergo alle dieci di sera, perché avevo anche l’antidoping e poi siamo andati a dormire all’Alpe di Pampeago… Anche questo contribuisce a creare scorie e alla conseguente mancanza di spettacolo.

Come è cambiato il ciclismo negli ultimi anni?

Il ciclismo è cambiato soprattutto dal 2008. Oggi è un altro sport. Perché la globalizzazione ha portato ad avere gare in tutto il mondo e corridori in tutto il mondo, tanti trasferimenti e tappe più corte. È un ciclismo più esplosivo, più muscolare; ma soprattutto, tre anni fa era impensabile avere un eritreo o un taiwanese competitivo in gruppo. Adesso, il corridore che oggi corre qua, domani è in Qatar e fra tre giorni corre in Cina, rientra in Europa per disputare un paio di classiche e poi vola in America, con relativi problemi di fuso orario e di tutto quello che ne consegue. Il ciclismo è passato da essere uno sport europeo a sport molto più seguito a livello mondiale. È molto più pubblicizzato e c’è sempre più gente che va in bici. Mentre una volta era lo sport dei poveri, adesso lo praticano tutte le classi sociali. E le bici sono diventate dei gioielli nelle forme, nei colori e nei particolari, e l’abbigliamento super tecnologico è bellissimo da vedere.

Cosa ti ricorda questo Giro?

Il mare fantastico in una giornata stupenda di quando siamo partiti dalla Sardegna con la cronosquadre della Maddalena al Giro del 2007. Poi, lo Stelvio mi ricorda l’ultima salita che ho fatto al Giro d’Italia. E la tappa di Asiago con il Monte Grappa affrontato dalla parte di Seren, un versante poco conosciuto ma veramente impegnativo, è anche un momento storico per ricordare la Grande Guerra. Infine il Piancavallo, mi riporta al primo Giro d’Italia che ho corso, quando ha vinto Pantani: è stato il mio primo arrivo in salita al Giro, vicino a casa… E’ stata una parte importante e lunga della mia vita, con ricordi belli e anche ricordi di sofferenza e di patimenti. Però è sempre una grande avventura, qualcosa di bello da vivere.

La mia fortuna è stata nascere in un territorio con una grandissima passione e competenza per la bicicletta. Il trevigiano, e tutto il Veneto in genere, è la culla della passione per il ciclismo. Qui si parte avvantaggiati, perché la gente ti viene a vedere, e io ho avuto tanta gente che mi ha voluto bene: se fossi stato un giocatore di cricket, che in Pakistan e in Australia sarebbe idolatrato, in Italia non avrei sicuramente riscosso lo stesso successo.

Intervista adattata e ridotta per motivi giornalistici.

 
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